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MTC n. 35: Tips & Tricks: le cotture a fuoco lento

by Mapi
da lacucinaspontanea

Per la serie “a volte ritornano”“repetita juvant” ripubblichiamo il T&T proposto al tempo della sfida del chili, nell’ipotesi in cui qualcuno si fosse perso qualche passaggio o se lo fosse perso del tutto: i fondamentali, cioè, son tutti qui. Probabilmente ci sarà un seguito più complesso- una specie di secondo livello- ma siccome è impossibile imparare a correre, se prima non si impara a camminare, è meglio ripartire da qui. 
Ovviamente, poi vi interrogo 😉

Tips&Tricks: Le cotture a fuoco lento

Presente
nell’alimentazione umana a partire dal Neolitico, la carne è un cibo
che richiama con forza l’istintività, il cui consumo richiama
all’opulenza e alla forza. Nei secoli sono cambiati radicalmente tanto i
modi di procurarsi la carne, fossero questi la cacciagione o
l’allevamento, quanto quelli di prepararla prima del consumo.
Si
pensi agli sfarzosi banchetti medievali, dove i pasticci di carne erano
ricomposti nella forma originaria dell’animale, con tanto di pelle e
piume, profumati con abbondanti spezie la cui funzione era quella di
coprire i sapori troppo forti derivati dalla mancanza di frollatura, e
che spesso venivano farciti con altri animali più piccoli, nascosti nel
ventre.
Si pensi anche al prestigio di cui godeva la servitù addetta al taglio delle carni nei banchetti, i trincianti, evidente riflesso dell’importanza di questo alimento e del suo servizio.

 Lo sapevate?
La
parola “carne” deriva dal latino caro, carnis, che a sua volta
contiene la radice indoeuropea Ker, “tagliare” o, secondo altri, krev,
emorragia. Da qui, si sono sviuppate altre parole, la più curiosa delle
quai è Carnevale, da Carne, vale! ovvero, Carne, addio!, ad indicare
il divieto quaresimale di mangiar carne.

E’
con lo chef Antoine Careme che il gusto comincia a prevalere
sull’aspetto dei cibi, ed è quindi a partire dai primi dell‘800 che
inizia la ricerca dei modi più adatti per valorizzare il sapore dei
singoli cibi, e quindi anche di quelli importanti – anche economicamente
– come le carni, mentre la diffusione della carne nelle tavole di tutti
i giorni è cominciata dopo la seconda guerra mondiale, grazie ai
processi di industrializzazione, all’invenzione della cella frigorifera e
alla messa a punto delle tecniche di frollatura a temperatura
controllata.

 Lo sapevate?

Marie Antoine Careme era uno dei venticinque figli di una poverissima famiglia che viveva nei sobborghi di Parigi, al tempo della Rivoluzione. La sua acuta intelligenza, unita ad una eccezionale versatilità, non sfuggì però al padre che, per permettergli di uscire dall’anonimato, fece l’unica cosa possibile per quei tempi. Lo abbandonò al suo destino, consapevole che solo se privato dal fardello dei fratelli e dei genitori, questo ragazzo così brillante avrebbe potuto sfruttare al meglio le enormi possiblità che si schiudevano a tutti, nella Parigi post rivoluzionaria. L’ultimo (e forse unico) regalo che il padre gli fece fu un pasto completo, in un’osteria. E da allora, nulla fu più come prima: nè per il giovane Marie Antoine, né per noi, che di quella ineffabile rivoluzione del gusto siamo gli eredi e i fruitori.

Dal punto di vista alimentare le carni sono composte da tre tipi di tessuto: muscolare,connettivoe adiposo.

Il tessuto muscolare è costituito dall’insieme delle fibre muscolari, riunite in fasci; il tessuto connettivo
è costituito da collagene ed elastina, due proteine dalle proprietà
opposte, che donano alla carne una consistenza unica: il collagene
infatti durante la cottura, specialmente in ambiente umido, tende a
sciogliersi formando la gelatina, mentre l’elastina non subisce
trasformazioni e consente alla carne di non disfarsi in cottura. Con
l’aumentare dell’età dell’animale il collagene si stabilizza rendendo la
carne meno tenera, da cui la necessità di ricorrere a cotture
prolungate per ottenere un risultato finale ottimale. Il tessuto adiposo infine è costituito dai grassi, che a loro volta si distinguono in grasso viscerale (o sugna), meno pregiato che riveste le viscere, grasso sottocutaneo,
che riveste la superficie esterna del corpo e aumenta con l’aumentare
dell’età dell’animale e ne indica la buona nutrizione (è detto lardo nei
suini, mentre negli altri animali è parte integrante del taglio di
carne) e il grasso muscolare, più pregiato, che s’infiltra tra le fibre conferendo alle carni la classica marezzatura e rendendole più succose e saporite.
Grasso è bello….

Anche
se la carne è prevalentemente associata alle proteine, nel caso della
carne rossa è la quantità di grasso uno dei suoi principali indici di
qualità: il grasso, infatti, testimonia lo stato di salute dell’animale,
sano e ben alimentato, e dà sapore al vostro piatto. Non solo: poichè
protegge la carne in cottura, permette che questa resti morbida durante
la cottura, garantendo un’evaporazione dei liquidi lenta e dolce. 
E’
quindi preferibile acquistare un taglio che presenti qualche venatura
di grasso, piuttosto che uno assolutamente magro: se proprio non lo
gradite, potete sempre scartarlo, una volta nel piatto
Il discorso
non vale, invece, per le carni bianche, che si privilegiano proprio
perchè magre, e per quelle nere: in questo caso, la differenza la fa
l’età: più sono giovani, più sono tenere

Tradizionalmente le carni sono suddivise in tre grandi categorie: carni bianche, carni rosse e carni nere,
queste ultime derivanti dalla selvaggina. Ogni tipologia ha
caratteristiche diverse, che necessitano di tecniche di preparazione e
di cottura differenti per esaltarne al massimo le caratteristiche, gli
elementi nutritivi e il sapore.

Le carni bianche,
leggere e digeribili, contengono meno grassi, sono meno fibrose
rispetto alle carni rosse e possono essere consumate poco dopo la
macellazione, o dopo una breve frollatura. Vanno sempre cotte a puntino,
perché se lasciate al sangue assumerebbero un sapore sgradevole e
questo è il motivo per cui non si consumano mai crude, a differenza
delle carni rosse.
Le carni rosse
hanno un sapore più intenso di quelle bianche e sono più ricche di
grassi, proteine e ferro; sono adatte a tutti i tipi di cottura, sono
ottime al sangue e si prestano anche al consumo a crudo, dando vita
gustose tartare. Fa parte della categoria delle carni rosse anche la
selvaggina da penna come il fagiano, la beccaccia, etc.
Le carni nere
infine derivano dalla selvaggina da pelo; hanno una muscolatura
compatta, che necessita quindi di adeguata frollatura affinché gli
enzimi la ammorbidiscano, ne smorzino il forte sapore e le rendano
profumate, e prima della cottura devono essere marinate, per gli stessi
motivi.
 C’è grossa crisi…

Gli effetti della crisi, purtroppo, si abbattono anche sulle abitudini alimentari degli Italiani: i dati apena diffusi dalla Coldiretti, riferiti al primo bimestre del 2013, registrano un calo del 7% dei consumi di carne, sulle nostre tavole. Si preferiscono piatti più sostanziosi e più economici, su tutti la pasta, che ha il pregio di nutrire con poca spesa: un Italiano su tre è tornato a mangiarla, per pranzo. Come spesso succede,
però, non tutti i mali vengono per nuocere: sono anni che si insiste
sulla necessità di limitare il consumo di carni, specialmente di quelle
rosse, il cui consumo eccesivo può accrescere i rischi di sviluppare gravi malattie come il cancro colonrettale o il diabete.

 
Due parole sulla frollatura,prima di passare alle tecniche di cottura a fuoco lento.

Subito dopo la macellazione dell’animale, le carni sono estremamente dure per via del rigor mortische
si instaura nel corso delle prime 30 ore. Durante la frollatura invece,
gli enzimi avviano un processo chimico-fisico che modifica la struttura
della carne rendendola tenera. I tempi e le modalità della frollatura
variano in base al tipo di animale e alla sua età; in genere pollame e
conigli hanno bisogno di molto meno tempo rispetto ai bovini o alla
selvaggina da pelo.
La
frollatura avviene in apposite celle frigorifere tenute alla
temperatura costante che va da 0 a 4 gradi Celsius, in condizioni
controllate di umidità e aerazione, che impediscono alla carne di
essiccarsi o di putrefarsi e le permettono di giungere al giusto grado
di maturazione.

 Lo sapevate?

Un tempo, carne frollata era spesso sinonimo di carne putrefatta. Si lasciava l’animale appeso a frollare per settimane intere e solo quando la carne cadeva dalla carcassa, ci si apprestava a cucinarla. E poi uno si chiede perchè, nei secoli passati, si amassero tanto le spezie e le salse…

Non
mi soffermerò sui diversi tagli di carne perché è in arrivo un articolo
dedicato a questo argomento, e passo adesso al metodo di cottura che ci
interessa per questa puntata dell’Emmetichallenge: la cottura a fuoco lento.
Le tecniche di cottura a fuoco lento sono due, e sono molto simili: brasaturae stufatura.Grazie
ad esse il tessuto connettivo e il grasso, sottoposti al calore
prolungato, si sciolgono rendendo la carne tenera, e rilasciano succhi
che formano un sugo ricco e saporito. Brasatura e stufatura sono dette
anche cotture in umido e sono
indicate per i tagli di seconda scelta, meno teneri e più compatti.
L’eventuale marinatura aggiunge un’ulteriore nota aromatica, donandoci
una carne che si scioglie letteralmente in bocca. I tempi di
preparazione sono sempre indicativi: la carne è pronta quando risulta
tenera e il sugo è lucido e denso.
Durante le cotture in umido avviene uno “scambio aromatico
tra il liquido di cottura e la carne: sottoposto a una cottura lenta e a
fuoco basso in un tegame coperto, il cibo s’impregna dei vapori che vi
circolano e al contempo cede i suoi succhi e umori al liquido di
cottura, che si trasforma in un intingolo sempre più ricco e saporito.
Il tegame più indicato per questi due tipi di cottura, che può avvenire sia sul fornello, sia in forno, è quello di ghisa, tuttavia vanno benissimo anche il coccio o l’acciaio inossidabile.

 Lo sapevate?

Il metodo più antico della cottura della carne la voleva arrostita, direttamente sulla fiamma viva. Successivamente, si passò alla brace e infine si scoprirono tutti i vantaggi della cottura nelle buche: le carni venivano avvolte in foglie o in sterpi e fatta cuocere sulla brace, all’interno di una buca nel terreno. Si tratta di un metodo antichissimo, praticato ancora oggi in Sardegna, col maialino da latte. La
cottura in pentola, direttamente sul fuoco, invece, risale alla
scoperta dei metalli: prima, si infilavano in pentole di terracotta
pietre arroventate, e si cucinava su quelle.

 Brasato
e stufato sono molto simili, ma non uguali e diverso è il risultato che
si ottiene. Data l’estrema somiglianza queste due tecniche di cottura
vengono spesso confuse; ho fatto riferimento a Gualtiero Marchesi e ad
altri libri in uso presso le scuole alberghiere, per andare sul sicuro. 

La cottura brasata è una sorta di cottura arrosto in umido e il termine deriva dal francese braise, brace, ad indicare una cottura piuttosto lunga e a una temperatura costante e non troppo elevata. In piemontese il braséera
una struttura costruita a lato del camino, che aveva una serie di
bracieri separati sui quali si posizionava una casseruola, dotata di un
coperchio caratterizzato da un bordo che era in grado di contenere la
brace. Dentro questo contenitore i contadini, prima di recarsi nei
campi, posizionavano la carne con poco liquido e la lasciavano cuocere
per diverse ore, finché diventava tenerissima e saporita.
In generale la brasatura è più indicata per le carni rosse,
in quanto la rosolatura iniziale rallenta la fuoriuscita dei succhi
nutritivi grazie alla crosticina che si forma inizialmente, dando al
collagene il tempo di sciogliersi senza impoverire la carne. Al termine
della cottura la carne sarà così tenerissima ma non sfibrata, ancora
ricca di umidità e di sapore.
Effettuata
la rosolatura si uniscono le verdure e gli odori – attentamente dosati
perché non coprano il sapore della carne, ma lo esaltino – e si fanno
rosolare per qualche minuto. A questo punto si elimina il grasso in
eccedenza e si bagna la carne con il liquido aromatico prescelto, che
spesso è il vino in cui la carne è stata marinata. Il
liquido non deve essere in quantità eccessiva perché la carne non deve
lessare, ma cuocere grazie al vapore sviluppato all’interno del tegame.

Un brasato può cuocere fino a 6 ore, occorre quindi controllare ogni
tanto il livello del liquido ed eventualmente aggiungerne altro, sempre
bollente, avendo cura di incoperchiare il tegame subito dopo l’aggiunta.
Al
termine della cottura il sugo deve essere accuratamente sgrassato, e le
verdure in esso contenute andrebbero rimosse e sostituite, laddove
possibile, da altre verdure fresche fatte stufare all’ultimo momento. Le
verdure cotte insieme alla carne infatti, hanno oramai ceduto tutto il
sapore e le sostanze nutritive che contenevano; non aggiungono nulla
all’intingolo, ma al contrario rischiano di inacidirlo se questo dovesse
essere conservato. Il brasato alla fine della cottura deve essere
tenero come un lesso, ma più saporito di uno stufato.
La cottura stufataderiva
da un sistema piuttosto antico, con il quale si cuoceva la carne in un
recipiente chiuso, posto sul piano della stufa da riscaldamento o in un
angolo della cucina economica, in modo che la temperatura non superasse i
100° C. Si tratta di una tipologia di cottura largamente sfruttata
nelle cucine tradizionali regionali di ogni Paese: da un lato permetteva
di sfruttare pezzi di carne meno pregiati, dall’altro il sugo serviva a
riempire la pentola e a dar l’illusione di mangiare di più, perché
fungendo da companatico permetteva di diminuire le dosi di carne.
E’ una tecnica molto simile alla brasatura, ma si differenzia per alcuni particolari: innanzitutto si prediligono pezzature più piccole
(ad esempio spezzatini), inoltre richiede tempi leggermente più lunghi e
una maggiore quantità di liquido. In questo tipo di cottura, deve
avvenire uno scambio reciproco, di gusti e sostanze, tra carne e
liquido: infatti secondo i canoni antichi il liquido con gli aromi
veniva posto sul fondo di un recipiente e la carne in un cestello,
collocato sopra il liquido, per poi terminare la preparazione mescolando
le due parti. Una sorta di cottura al vapore, dunque: la carne si
cuoceva grazie al vapore del liquido portato a 100° C e a sua volta
rilasciava i suoi umori al liquido sottostante, arricchendolo.
Oggigiorno
lo stufato si prepara scaldando il grasso prescelto (burro o olio) in
una casseruola dal fondo pesante, unendovi l’alimento e ricoprendolo per
metà della sua altezza con il fondo prescelto. Si incoperchia il tegame
e si abbassa la fiamma in modo da far bollire lentamente la
preparazione. Alla fine della cottura il fondo viene legato con del
burro.
La stufatura in forno
avviene preriscaldando il forno a 140 °C e infornando il tegame coperto
con dentro le verdure. Trascorsi 5-10 minuti si unisce la carne e il
fondo fino a 1/2 dell’altezza dei cibi, si copre la pentola e si porta
l’alimento a cottura per il tempo desiderato.
Durante
questo tipo di cottura il collagene delle carni si dissolve e le parti
fibrose dei vegetali si inteneriscono, mentre la perdita dei succhi è
limitata; il cibo risulta quindi tenero come un bollito, ma nello stesso
tempo è più saporito. Anche nel caso della cottura della carne per stufatura
è bene eliminare le verdure “esauste” e sostituirle con altre fresche,
stufate per il tempo necessario a portarle a cottura.
Maria Pia Bruscia – La Apple Pie di Mary Pie

Bibliografia:
Igles Corelli – Carne – A. Vallardi
Gualtiero Marchesi – Oltre il fornello – Rizzoli
A.A.V.V., a cura di Gualtiero Marchesi – Il grande libro dei cuochi – Rizzoli
Paolo Gentili – Laboratorio di cucina (vol. 1 e 2) – ed. Calderini
A.A.V.V., – Il grande libro della cucina albese – Famija Albèisa , Ordine dei cavalieri del tartufo e dei vini d’Alba

5 comments

Silvia M. 7 Gennaio 2014 - 18:10

Ma me lo ricordavo tutto!!! – per favore, per noi cecati, potete scegliere un altro carattere (font) ?

MTChallenge 8 Gennaio 2014 - 9:31

Mi accodo alla richiesta, perché sono cecatissima anch'io!!! 😉

Antonella 7 Gennaio 2014 - 15:28

ma rigrazieeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!!!!

MTChallenge 7 Gennaio 2014 - 15:07

Me lo ricordo questo articolo, preziosissimo! sei grande, grande, grande, come te.. sei grande solamente tuuuuuu MAPI!

Lina 7 Gennaio 2014 - 9:26

Molto molto utile! la pentola adatta ce 'ho, adesso devo solo pensare ad una bella ricetta e decidermi a farla. Con l'MTC si imparano un sacco di cose 😉

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