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C’era una volta il commissario Montalbano, mi verrebbe da dire, di fronte ad un progressivo spegnersi degli entusiasmi con cui, negli anni, ho accolto le sue storie: la mia copia del’ultimo romanzo, per dire, è ancora in una vetrina di Feltrinelli e quella del penultimo vaga fra gli scaffali delle librerie di famiglia, consegnata intonsa alla mamma o alla suocera o alla sorella, senza che lo jus primae noctis che di solito esercito sui miei acquisti mi abbia sfiorato l’anticamera del cervello.
Ne avevo già parlato qui, a suo tempo e, a parte una breve parentesi, non è che le cose fra noi siano cambiate: è come se fossimo una coppia di coniugi stanchi, incapace di ritrovare affiatamento, complicità e passione- e altrettanto incapace di lasciarsi, legata com’è dal nodo del ricordo di un amore così grande da rimanere, anche quando non c’è più.
Un nodo che mi sale alla gola ogni volta che rileggo il Camilleri dei primi tempi, Montalbano compreso: perchè se mai i libri hanno qualcosa di meglio delle persone è la loro capacità di riportarti indietro nel tempo e di far rivivere tutto come allora, cancellando con un colpo di spugna tutto quello che nel frattempo c’è stato, bello o brutto che sia. Non sempre succede, sia chiaro: ma quando capita, è tutto un susseguirsi di emozioni, una scarica di adrenalina che ti ricorda che la vita è sempre lì, a portata di mano- e a volte basta solo aprire il libro giusto, alla pagina giusta, per afferrarla e riprendere la corsa.
La conferma è questo bel libro di racconti, uscito nel 1999 per i tipi di Mondadori: ricordo ancora la preoccupazione che fece aggrottare la fronte, mia e degli altri afecionados, quasi che questa pubblicazione dovesse presagire un divorzio da Sellerio e, con questo, la fine di un’alchimia che fra qualche anno si studierà sui libri di marketing editoriale, ma che all’epoca sembrava il lieto fine di una storia di buoni sentimenti, sui quali campeggiavano a tutto tondo l’amore per i libri di qualità e la volontà di sostenere chi ancora si ostinava a dire “non mollo”, in un panorama sempre più scialbo e asservito al mercato.
La seconda preoccupazione era di natura più letteraria: ci sarebbero riusciti, i nostri eroi, a sopravvivere alla forma breve di un racconto? Perchè raccogliere il guanto della sfida della forma breve, per un romanziere, è sempre un’operazione coraggiosa, al limite del suicidio. E lo poteva essere ancora di più per un romanziere come Camilleri, i cui plot narrativi traggono gran parte della loro forza da ciò che gira loro intorno: le atmosfere, i ritratti di provincia, l’incomparabile varietà dei caratteri che animano le varie storie e una definizione sempre più precisa della squadra tutta del commmissariato di Vigata, che rappresenta il vero co-protagonista delle sue vicende: tant’è che i fans di Montalbano non hanno mai fatto mistero di non gradire Livia, ma non saprebbero come fare senza Fazio o Catarella. E il timore che i colpi della scure del racconto si abbattessero su di loro, quindi, era preludio a qualcosa di più che alla rassegnazione ragionevole di chi sa che ad impossibilia nemo tenetur: era uno storcer di bocca, un orizzonte offuscato da nubi, il giudizio sospeso di chi teme di restar deluso e, ancor di più, di non saper perdonare.
Era bastato leggere le prime pagine, per comprendere che si poteva stare tranquilli. Camilleri ce l’aveva fatta, anche questa volta. E i suoi racconti avevano lo stesso sapore delle versioni mignon dei liquori che andavano di moda anni fa, che si bevevano con lo stesso gusto con cui noi abbiamo letto questo libro.
Ovvio che mi sia venuto in mente, per questa sfida- e altrettanto ovvio che mi sia sembrato il viatico più indicato per sostenerci in questo primo viaggio: meno ovvio ritrovare, fra le sue pagine, la ricetta della nostra sfida, nella versione del nostro Commissario, che ce la racconta in quel suo modo così tipico e così peculiare, ruvido e sentimentale, vivido nei colori e lento nei gesti, testimonianza di una cucina antica, rinnovata ogni giorno con amore e con orgoglio: non è un caso che siano stati scelti come titolo dell’intera raccolta, quasi a voler restituire all’arancino- rigorosamente al maschile, stavlta- tutta l’importanza che merita.
Eccola qui
«Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appressosi pripara un risotto, quello che chiamano alla milanisa (senza zaffirano, pi carità!), lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddàre. Intanto si còcino i pisellini, si fa una besciamella, si riducono a pezzettini `na poco di fette di salame e si fa tutta una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna (nenti frullatore, pi carità di Dio!). Il suco della carne s’ammisca col risotto. A questo punto si piglia tanticchia di risotto, s’assistema nel palmo d’una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell’altro riso a formare una bella palla. Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d’ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini s’infilano in una padeddra d’oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d’oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine, ringraziannu u Signiruzzu, si mangiano!”
Buon fine settimana
Ale
10 comments
Passi affondare la Sellerio, passi criticare le Lonely Planet (che adoro) ma Camilleri no non me lo toccare! Io amo quell'uomo e da quando l'ho visto di pirsona pirsonalmente nell'aula magna della sapienza di Pisa mi sono innamorata. Sì scriverà troppo, gli ultimi libri sono un pò noiosi, ma tanti anni di vita in comune, li buttiamo via così? Il suo problema è che è la fortuna della Sellerio perciò lo costringono a scrivere e a pubblicare anche le liste della spesa (per ammissione dello stesso Camilleri nell'ultimo libro di Montalbano). Ha consegnato da tempo l'ultimo capitolo della storia del commissario che giace in cassaforte da anni, perchè non voleva lasciare la storia incompiuta…ma non muore ….e che deve fare?
Non mi ricordo in quale libro di Montalbano c'era una ricetta con le melanzane che ho provato….devo solo ricordarmi dove….
ti faro sapere… ciao e mi raccomando…diamogli un'altra possibilità.
Anche io i primi li ho divorati e gli ultimi faccio sempre più fatica anche solo a prenderli in mano in libreria…. Ma, toglietemi una curiosità: anche voi, alla fine di ogni libro, avete cucinato i piatti di cui si parla, o l'ho fatto solo io? (e anche 3-4 volte di fila…..) Cristina P.
E' stato il primo di Camilleri che ho letto e ancora conservo, passatomi dal mio papà, da lì a correre aleggere gli altri il passo è stato breve…fino a La vampa d'agosto, poi ho smesso!
Ma Montalbano resta sempre una piacevole compagnia.
Ottima proposta per una sfida tutta siciliana.
Questo libro l‘ho letto e mi è piaciuto molto ma il mio preferito rimane La concessione del telefono. Ho letto alcuni libri di Camilleri all‘inizio del suo successo e mi sono piaciuti così tanto che improvvisamente ho smesso. Per non rimanere delusa, così come mi sono sempre rifiutata di vedere la serie televisiva, per non rovinare il Montalbano che Camilleri era riuscito così bene a farmi immaginare. E forse ho fatto bene. La ricetta degli arancini è quasi poetica.
Io volevo aprire un blog (anzi ce l'ho aperto, ma non ho mai scritto niente) solo per ricette "letterarie". E' una mia passione!… E Maigret docet, nel limite degli ingredienti a me concessi!
Eh ma Ale, così tu mi colpisci dritta dritta al cuore! Per Montalbano? No perché ne ho letti pochi (i primi) e questo mi manca (anche se è nella lista lunghissima dei libri da leggere). Mi colpisci al cuore, perché scovare paragoni tra libri e ricette è pane per i miei denti e il tuo post di oggi lo adoro! 🙂
Buon fine settimana
Questo va letto- e anche Un mese con Montalbano, se ti manca, tanto per restare nel filone dei racconti.
E poi ti scrivo in pvt, che tengo indecent proposal 🙂
bacioni
Uh curiosa io!! Scrivi scrivi! 😀
troppo prolifico. a volte credo scriva per vendere e basta. tanto l'ho amato nella concessione del telefono e nella mossa del cavallo ma anche la scomparsi di patò non era male, più diciamo i primi 6-7 di montalbano, tanto mi è venuto a noia ormai.
d'accordissimo.
La mia prima volta 🙂 è stata con Il Birraio di Preston. Alle pagine 59-62 mi rotolo ancora adesso dalle risate. La prima volta è accaduto sull'autobus e porto ancora i segni della vergogna dei postumi 🙂
La Mossa del Cavallo era il libro preferito di mia nonna. Noi abitiamo a Boccadasse, detto tutto, no?
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