Cosi come lo conosciamo noi, il Red Rice è una preparazione abbastanza recente. La prima menzione si trova su un ricettario del 1867 (Mrs Hill’s New Cook Book), con il nome di Tomato Pilau, mentre negli anni Trenta spopola come Mulatto Rice (Savannah’s Cook Book, 1933): indizi questi che ricollegano senza ombra di dubbio la ricetta al pomodoro come ingrediente principale, al pilaf come metodo di cottura e alla comunità Afro-Americana attestata in quelle zone come milieu culturale.
Le sue origini, però, sono molto più antiche e ci portano tutte verso quell’Africa Occidentale che fu la terra d’origine dei Gullah-Geechee. Anche se mancano fonti scritte, tutti sono concordi nell’indicare il “padre” del Red Rice in quel monumento della gastronomia nazionale nigeriana, ghanese e senegalese (quest’ultimo, nella versione locale della Thieboudienne: non ne parlo oggi perché le dedicheremo un post mercoledì) che è il Jollof Rice: un riso speziato al pomodoro, cotto con un metodo che ricorda molto da vicino quello del suo figliolo americano.
LA GUERRA DEI RISI
Prendetemi sul serio- e se avete bisogno di una verifica, inserite #jollofwars su instagram o su twitter. Vi troverete nel bel mezzo di una “guerra”, in cui le granate sono piatti fumanti di Jollof Rice, tutti leggermente differenti fra di loro ma tutti, neanche a dirlo, con la convinzione di essere l’espressione della ricetta perfetta. I fronti armati (di riso, di pomodoro, di peperoni e di spezie) sono soprattutto la Nigeria e il Ghana e la gara a chi lo fa meglio, sia chiaro, è faccenda serissima, sfociata anche in un mezzo incidente diplomatico, qualche anno fa. Il giorno più caldo è il 22 agosto, giornata nazionale del Jollof Rice, quando viene istituito una sorta di giudizio universale, su chi lo fa meglio, a suon di antichissime ricette degli antenati e botte di “il tuo è una mappazza” -”il tuo non sa di niente” che vanno avanti per tutto il giorno. Nel 2016, una delegazione mista di Ghanesi e Nigeriani ha persino invitato Mark Zuckerberg ad essere giudice unico della contesa. Il patron di FB, molto intelligentemente, si è schernito, si è detto lusingato, ha messo in atto tutte le mosse, insomma, per prepararli al NO forte e chiaro che, almeno da parte sua, ha posto fine alla questione. Lasciando che questa continui, senza apparente soluzione
LE DIFFERENZE
Gli ingredienti che non devono mancare in un Jollof Rice degno di questo nome sono il riso lungo, il pomodoro, la cipolla, i peperoni, il peperoncino (lo Scotch Bonnet) e le spezie. A questa base, poi, c’è chi aggiunge pesce o carne, un po’ come accade per la Paella (con cui per altro il Jollof Rice non va assolutamente confuso): ma l’oggetto del contendere è il modello base, non quello accessoriato. E’ lì che il gioco si fa duro e cerchiamo dunque di capire il perché
Il Riso, intanto, è diverso. I Nigeriani usano un riso lungo parboiled , di origine asiatica, che contiene meno amido del riso lungo, di varietà Indica, la stessa a cui appartengono i Basmati, o i Jasmine (Sud- Est asiatico) usato dai Ghanesi. Da qui, nasce un’altra differenza, legata al procedimento di cottura: il parboiled viene inserito prima, gli altri risi dopo. Poi: il riso nigeriano è più “caldo” (le spezie sono la cannella, la noce moscata, i chiodi di garofano) e ha un retrogusto affumicato legato sia alla presenza dell’alloro, sia ad una tecnica di cottura più estrema (only the brave, per capirci) che consiste nel cuocere il riso fino a un attimo prima che si attacchi al fondo della pentola. Se fossi una gastrofighetta, direi fino alla caramellizzazione, per fare qualche analogia con gli ingredienti che danno il meglio di loro stessi con questo tipo di cottura (la cipolla e l’aglio su tutti). Un’altra variante significativa è lo Shito, un condimento ghanese a base di aglio, cipolla, peperoncino, pomodoro e gamberetti secchi che a me ricorda tanto il Sambal malese e che viene usato come insaporitore del Jollof Rice, segno distintivo della sua provenienza.
MA SONO DAVVERO COSI DIVERSI?
La risposta è sì, da un lato, e no, dall’altro.
Nel senso che non esiste una ricetta codificata, non esistono dosi precise, non esiste cioè un parametro attendibile per poter dire che “QUESTA E SOLO QUESTA” è la ricetta della Nigeria e “QUELLA E SOLO QUELLA” è la ricetta del Ghana. L’ideale sarebbe poter salire sul primo volo a stomaco vuoto e rimpinzarsi in loco, con il rischio, però, di ritrovare i sapori nigeriani in un Jollof Rice ghanese e viceversa. Perché le ricette viaggiano e quelle non scritte ancora di più
AHI, AHI, AHI, JAMIE OLIVER
E’ il 2014 quando Jamie Oliver, allora all’apice della sua popolarità, pubblica sul suo sito e per la catena di supermercati per cui scrive (la Tesco), la ricetta del Jollof Rice. La cosa passa inosservata, almeno fino a quando non viene notata da chi il Jollof Rice lo ha nel DNA, non solo culinario, ma anche culturale- e scoppia il finimondo: oltre 4500 commenti di Africani giustamente preoccupati che la grande visibilità di cui gode lo chef britannico possa portare alla ribalta questo falso storico, invece che la vera ricetta. Della faccenda si occupa tutta la stampa nazionale (dal The Guardian all’Independent, passando ovviamente per la BBC), il supermercato ritira le brochure con il Jollof Rice sbagliato, un portavoce di Oliver chiede pubbliche scuse, attaccandosi alla licenza poetica (che è poi la stessa che trovate scritta in piccolo sul sito). Ciò che emerge, da questa polemica, è l’enorme valore che questo piatto ha, nel definire l’identità dei popoli coinvolti (che oltre ai due che abbiamo citato, sono più o meno tutti i popoli che abitano l’Africa occidentale): certe modifiche non possono essere fatte impunemente, meno che mai quando nascono dalle mode del momento (i pomodori ciliegia colti dalla pianta dell’orto, per esempio) o vengono ridotti ad acchiappalike verso un pubblico che tanto ha paura della diversità quanto trova conforto negli stereotipi.
(Per la cronaca, se volete leggervi i 4500 commenti indignati contro Jamie, il video non è più disponibile, in rete. E nella versione scritta, sul sito, non c’è spazio per nessuna interazione con gli utenti)
DI COSA PARLIAMO, QUANDO PARLIAMO DI JOLLOF RICE
Parliamo di storia, ovviamente- e di una storia tramandata prevalentemente a voce, come spesso capita con quelle ricette le cui origini si perdono nella notte dei tempi ma che vivono attraverso il racconto e la trasmissione di chi ne è il depositario. Come sostiene James Mc Cann in Stirring the Pot, un viaggio attraverso i piatti simbolo della cultura africana, il Jollof Rice è patrimonio non di una nazione singola, ma di un unico popolo, quello che si riconosce in una storia comune fatta di viaggi, di scambi, di interazioni. A dispetto di tutto quello che potrete trovare sul web, una ricostruzione esatta della storia di questo piatto è impossibile: anche la versione più comunemente accettata – e cioè che siano stati i Wollof senegalesi a diffonderlo, ai tempi della loro dominazione- mostra tanti punti deboli, di fronte ad argomentazioni opposte. E’ invece più probabile che la diffusione del Jollof Rice sia dovuta ai commerci, nella fattispecie ad una comunità locale, i Dyula, un gruppo etnico Mande, quindi dell’Africa Occidentale, di religione islamica, votato da sempre ai traffici commerciali. L’ipotesi è sostenuta da molti fatti, a cominciare dalla diffusione di questo piatto nelle aree urbane, sede cioè di tutti i mercati, fino alla inclusione di ingredienti nuovi (pomodoro, peperoncini, peperoni) che vennero adattati alle versioni precedenti, grazie all’abilità dei cuochi e delle cuoche.
Quando avvenne tutto ciò? Presto, ipotizziamo, sicuramente appena dopo la scoperta dell’America, con i Portoghesi che per primi aprirono le strade commerciali ai nuovi prodotti, nell’una e nell’altra direzione. I Dyula, che nel frattempo, dopo la caduta dell’Impero Mali, si erano disgregati in comunità più piccole, contribuirono alla diffusione locale, attraverso i mercati urbani delle città in cui si erano insediati.
SÌ, VABBE’, MA LA RICETTA???
Mica facile. Non tanto da preparare, quanto da individuare, nel marasma di mille versioni che mi si sono parate davanti (condite tutte dalla paura di fare qualcosa di sbagliato).
Alla fine, qualcosa di sbagliato l’ho fatta, ma nel procedimento: troppo sugo, in proporzione al riso e troppa ansia (mai, mai, mai cucinare un piatto per la prima volta, con gli ospiti armati di forchetta e coltello in sala da pranzo). Ma è talmente particolare, talmente gustoso, talmente buono, infatti, che alla prossima occasione ci riprovo
Le mie fonti di ispirazioni sono state queste (tutte con video)
Classic Nigerian Jollof Rice da Food52
How to Make Jollof Rice- NYT Food
Nigerian Jollof Rice by Ivonne Ayiay
per la Obe Ata per il Jollof rice Prima di tutto, preparate la Obe Ata. Mondate tutte le verdure, tagliatele grossolanamente a pezzi e frullatele in crema. Potete aggiungere un po’ di acqua, se quella dei pomodori non fosse necessaria. Quando avete ottenuto una crema, fatela ridurre in padella, con poco olio. Deve diventare densa, spessa e rosso scuro, quasi marroncino. Alla fine, dovrete ottenerne circa 2 tazze Prepariamo il riso Scaldate l’olio in una padella dai bordi alti (l’ideale sarebbe una padella di ghisa) molto capiente. Soffriggetevi la cipolla e l’aglio tritati, fino a quando saranno traslucidi. Aggiungete poi la passata di pomodoro e fate insaporire, per qualche minuto (potete aggiungere un mestolino d’acqua) Unite poi l’alloro, il timo, le spezie, il dado da brodo granulare e l’Obe Ata. Mescolate bene, abbassate la fiamma e fate sobbollire, coperto, per 15 minuti. Dovrete ottenere di nuovo una salsa molto densa e spessa. Nel frattempo, sciacquate il riso sotto l’acqua, fino a quando questa non diventa limpida. Versate il riso nel condimento e mescolate bene. Poi versate il brodo: questo deve arrivare a un dito sopra il riso, non di più: altrimenti il condimento non viene completamente assorbito dal riso e questo resta bagnato. Mettete il coperchio e cuocete per 20 minuti. Trascorso questo tempo, il condimento dovrebbe essere stato completamente assorbito. Date allora una bella mescolata, poi mettete nuovamente il coperchio e fate riposare per 40 minuti. Ricontrollate, altra mescolata, altro coperchio, altri 10 minuti di riposo. In totale, ci vogliono un’ora e 10 minuti, come descritto nell’ultimo video che vi ho suggerito- e qui capite perché ci voglia il parboiled. Alla fine, date un'ultima mescolata, versate nel piatto da portata e servite immediatamente.INGREDIENTI
PREPARAZIONE
3 comments
Io per questi tuoi post impazzisco. Innanzi tutto perché sono godibilissimi, e poi perché imparo sempre una montagna di cose nuove. Grazie davvero, Ale!!!
Quanta ricchezza, un piatto non è mai banale la sua storia lo rende unico. Grazie per questo REGALO!!!
letteralmente ADORO questi tipi di post!
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