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MTC n. 34: Tips&Tricks: LA FARINA DI CASTAGNE

by Mapi

tips and tricks

di Maria Pia Bruscia- La Apple Pie di Mary Pie
Il castagno è una pianta conosciuta e apprezzata fin dai tempi antichi, tanto che i Greci chiamavano i suoi frutti ghiande di Giove. Dal medioevo fin quasi ai nostri giorni i suoi dolci frutti hanno costituito la base del nutrimento delle popolazioni di montagna, come testimoniato tra l’altro da numerosi interventi legislativi succedutisi nei secoli.
Tra i più importanti ricordiamo gli Statuti di Gavinana del 1540, secondo i quali il proprietario terriero poteva tenere per se’ solo le castagne raccolte fino a novembre, mentre da dicembre in poi i poveri potevano raccogliere i frutti che restavano, per il proprio sostentamento. Forse è proprio da qui che è nato il detto popolare “Il riccio contiene tre castagne: una per il padrone, una per il contadino e la terza per i poveri”: un detto riguardo al quale ho trovato nel web anche una bellissima leggenda. E proprio pane dei poveri è uno degli appellativi delle castagne, che grazie al loro elevato apporto nutritivo hanno permesso in passato anche agli abitanti più poveri delle regioni montane di sostentarsi durante il lungo inverno.
Diversi sono i modi di conservare le castagne: si va dalle conserve dolci alle castagne secche, dalla cui macinatura si ottiene la sostanziosissima farina che, stando alla nostra Serena, è buonissima anche mangiata a cucchiaiate dal sacchetto. Se avete la fortuna di andare per boschi in questo periodo le potrete quindi raccogliere e conservare, oppure più semplicemente potrete gustarle arrostite nell’apposita padella dal fondo bucato: le caldarroste sono golosità invernali alla portata di tutti. Ricordatevi soltanto che le castagne non vanno consumate appena colte: meglio lasciarle riposare per qualche giorno, per permettere agli amidi di concentrarsi, rendendo più intenso il sapore. E’ consigliabile anche l’immersione in acqua per un paio di giorni: le castagne che vengono a galla vanno buttate via perché sono bacate.
La farina di castagne, pur essendo una prelibatezza e un ingrediente base di numerose preparazioni dolci e salate, ha purtroppo un posto marginale nei nostri consumi: il picco delle vendite si registra tra novembre e gennaio, essenzialmente nel Nord e Centro Italia, per poi scendere inesorabilmente intorno a marzo ed è difficilmente reperibile al di fuori delle aree di produzione. La si ottiene dalla macinazione delle castagne essiccate, effettuata in appositi molini perché le castagne secche sono durissime.
I molini moderni usano tecniche di sbucciatura e molitura automatizzati, ma anticamente in Toscana l’essiccazione aveva luogo nel metato, una costruzione rustica che di solito si ergeva in prossimità del luogo di raccolta. Sull’Appennino Pistoiese e in Garfagnana, il metato era talvolta parte integrante dell’abitazione: sostituiva la cucina e i contadini vi si riunivano alla sera, tenendo le veglie. Le castagne erano poste a seccare in uno strato di 10 cm sopra un’impalcatura costituita da assi di legno ravvicinate o da canne, detta canniccio o cannaiola. Nella parte inferiore si accendeva un fuoco di legna di castagno, che doveva sempre essere alimentato.
Una volta seccate, operazione che richiedeva circa 20 giorni,  le castagne venivano poste ancora calde dentro sacchi robusti e battute energicamente per sgusciarle ed eliminare la pellicina interna; in alternativa la sbucciatura avveniva in un recipiente, la bigoncia, dove venivano pestate con l’ausilio della mazzanghera, un pesante pestello rinforzato da una corona di punte metalliche. La velocità era essenziale: per un miglior esito dell’operazione infatti le castagne dovevano essere calde, perché raffreddandosi la buccia e la pellicina interna si incollano nuovamente al frutto.
Successivamente si passava alla pulitura di fino, eseguita esclusivamente dalle donne, che ponevano le castagne in un contenitore di legno rettangolare dai bordi leggermente svasati, la vassoia; afferrata per i lati corti e fatta roteare con abilità, la vassoia permetteva di separare i residui della buccia dalla preziosissima polpa. Naturalmente i gusci secchi non venivano buttati via, ma erano usati per attizzare il fuoco.
Una volta sgusciate. le castagne venivano portate al mulino per la macinazione. Tutt’oggi sopravvive l’uso di pagare al mugnaio che macina le castagne la molenda in natura, consegnandogli 10 kg di farina per ogni quintale di macinato, più 2 kg di spolvero per la farina che si perde nella lavorazione.
La farina che si trova attualmente in commercio è confezionata in pacchi da un chilo; un tempo invece veniva pressata fortemente entro una cassa di legno in modo da eliminare l’aria e impedire che venisse aggredita da insetti; veniva poi staccata a pezzi con una specie di scalpello, sminuzzata e setacciata prima dell’impiego.
Il sapore della farina di castagne non dev’essere amaro, il colore deve risultare chiaro e la composizione impalpabile. Può essere consumata anche dai celiaci, poiché è priva di glutine. Le farine migliori si ottengono dalla macinazione a pietra. 
A differenza dalle altre farine ottenute da frutta secca, la farina di castagne presenta un bassissimo contenuto in grassi, tanto che alcuni dietologi consigliano di utilizzarla in sostituzione ad altre farine, come quella di mandorle. Dal punto di vista nutrizionale la farina di castagne ha un elevato apporto calorico. Ricca di carboidrati complessi (amidi) e con un discreto apporto proteico, contiene circa il 3,7% di grassi ed è una preziosa
fonte di sali minerali, tra cui spiccano magnesio, zolfo, potassio, ferro e calcio. Un discreto contenuto di vitamine B1B2C e PP completano il suo profilo nutrizionale.
Volendo, si può provare a produrre la farina di castagne in casa. Si mettono le castagne fresche già sbucciate in forno statico a 150 °C per 20 minuti, oppure si arrostiscono sul fornello con la tradizionale padella forata, facendo attenzione a non bruciarle. Si fanno poi raffreddare e si tritano con la grattugia elettrica o con il mixer, controllandone attentamente l’umidità. Se dovesse risultare troppo umida la si cosparge sulla leccarda del forno ricoperta di carta forno e si passa in forno statico a 40-50 °C fino a quando non si asciuga. Farla raffreddare completamente e conservarla in barattoli a chiusura ermetica.
Fonti:
Archivio delle tradizioni popolari della Maremma grossetana
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