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Confesso di essere stata un po’ indecisa, nell’affrontare questo tema: non perchè non ritenesi che dovesse essere affrontato, ma perchè temevo di non trovare la persona giusta, disposta a scriverne per noi con competenza e rigore. O meglio: la persona giusta c’era, ed è la nostra amica Isabella, una “fresca” partecipante all’mtc che scrive dal sudamerica. L’avevo interpellata, per chiederle di collaborare alle cucine degli altri, ma un conto è la faccia tosta che ci vuole, per sollecitare una ricetta: ben altro quella che serve per proporre un articolo così impegnativo come quello che segue. E così, me ne stavo zitta, rimuginando sul da farsi, fino a quando la montagna non è venuta da Maometto: è arrivata una mail gentile, nella quale Isabella mi chiedeva se era ancora valida la mia proposta. Il resto, è tutto nell’articolo che segue, che è stato scritto in tutta fretta (e da qui, la concessione di una proroga per la
presentazione della ricetta, che si è invece trasformata solo in una proroga per la sistemazione della foto): un piccolo reportage legato a fatti di cui purtroppo non si parla e che rappresentano invece un’altra pagina dolorosa nel triste libro della povertà e della violazione dei diritti umani.
presentazione della ricetta, che si è invece trasformata solo in una proroga per la sistemazione della foto): un piccolo reportage legato a fatti di cui purtroppo non si parla e che rappresentano invece un’altra pagina dolorosa nel triste libro della povertà e della violazione dei diritti umani.
TIJUANA, CITTA’ DI CONTRADDIZIONI
Quando Alessandra mi ha proposto di collaborare scrivendo per l’MTChallenge mi sono sentita non solo onorata ma soprattutto molto molto motivata. Per quanto mi rigaurad il blog é un hobby al quale dedico i sempre ahimé troppo scarsi ritagli di tempo. Non avrei mai pensato che scrivere per l’MTC mi avrebbe portata anche a poter parlare dei temi a me piú cari: diritti umani e giustizia.
Ebbene si, partendo da una ricetta possiamo raccontare mille cose, prima tra tutte la storia del luogo che ha visto nascere la ricetta. Ed é cosí che Ale mi ha porposto di scrivere di Tijuana, delle sue contarddizioni e del famoso muro della vergonga. Tijuana é una cittá caotica e contraddittoria, una cittá emblemática, una delle tante cittá di confine
che in un mondo sempre piú estremizzato diventano spesso scenario di ingiustizia.
che in un mondo sempre piú estremizzato diventano spesso scenario di ingiustizia.
Tijuana é una fra le tante cittá sudmericane in cui la divisone tra quartieri ricchie e poveri é tangibile e sconfortante. Una cittá che offre allo stesso tempo strutture moderne e musei incantevoli accanto a quartieri estremamente poveri in cui ogni giorno approdano numerosissimi messicani (ma anche numerossime persone dall’america latina e centrale) cercando di emigrare verso gli Stati Uniti.
Tijuana rappresenta tutto ció che un confine non dovrebbe essere: segregazione, discriminazione, proibizione, violazione dei diritti umani, disperazione, gruppi armati e bande criminali, povertá.
Un confine che é proibito oltrepassare, un confine che uccide ogni giorno, un confine che attraverso il suo muro ripete incessantemente “non vi vogliamo”.
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La contraddizione si acutizza nel fatto che Tijuana é un destino molto comune per il turismo statunitense, in particolare per i giovani “gringos” che vogliono evadere il limite d’etá per poter bere alcolici. Purtroppo Tijuana, cosí come tantissime altre cittá sudamericane, ha visto aumentare la prostituzione, la criminalitá e il traffico di droga come risposta ad un tipo di turismo. Secondo Amnesty International ogni giorno migliaia di messicani giungono in questa cittá per prepararsi al loro “viaggio”. Ed ogni notte, circa 10.000 persone dormono per le strade o in qualche dormitorio gestito dalle parrocchie local aspettando il momento giusto per attraversare.
In questa zona di confine, una realtà tristemente famosa è quella degli emigranti che illegalmente cercano di passare negli Stati Uniti. Per il governo statunitense, il tema dell’immigrazione messicana è percepito principalmente come un problema di criminalità e di narcotraffico da risolvere anche tramite l’esercito e l’uso della forza. Dall’altro lato della frontiera invece, in Messico, il fenomeno emigratorio viene visto come una “soluzione” per far fronte alla povertá e algi innumerevoli problemi sociali.
Ma veniamo al muro, il triste muro divisorio che ha reso nota la cittá di Tijuana. Si tratta di un muro fatto di lamiera metallica sagomata, ricoperta di uno strato antiruggine. Dietro a questo muro trasandato, si trova il bastione tecnologico, separato da una terra di nessuno di cinquanta metri, pattugliata dai fuoristrada della polizia di frontera statunitense, chiamata la Border Patrol. Questa seconda barriera non è un muro in senso proprio, ma una serie di piloni di cemento grigio chiaro, alti circa metri, posti a una distanza di pochi centimetri l’uno dall’altro, che permette di passare a gatti, topi e cani, ma non agli umani. La barriera è sormontata da un’elettrificata rete inclinata larga un metro. I piloni sono infissi in profondità sotto terra per impedire che si scavino dei tunnel. Spiccano le torri di vedetta, sottili guglie di acciaio alte una ventina di metri, dotate di potenti lampade che illuminano a giorno la notte, telecamere mobili e un terrazzino circolare ringhierato per la manutenzione o la ronda.
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Nonostante gli Stati Uniti mostrino il muro come un risultato della lotta alla immigrazione, dal lato messicano, la «guerra ai clandestini» ha fatto strage. Nella sezione che corre lungo l’autostrada che porta all’aeroporto internazionale di Tijuana, il muro metallico è adornato da una serie infinita di croci che portano i nomi dei messicani periti nel tentativo di oltrepassare il muro o attraversare il deserto. Così i morti lungo la frontiera sono passati da 61 nel 1995 a 261 nel 1998, a 373 nel 2004, a oltre 500 nel 2005.
Per i migranti di oggi, le difficoltá da afforntare e i rischi alla loro vita non sono pochi. Se da un lato ci sono i rischi naturali como rappresentati dal fiume e dal deserto, dall’altro ci sono quelli rappresentati dagli uomini. Si tratta dei cosidetti i coyotes (trafficanti di immigrati clandestini, che in Italia sarebbero equiparabili agli scafisti). I coyotes in cambio di alte cirfe accompagnano i clandestini fino al deserto, oppure li trasportano attraverso i controlli nascosti nelle auto o nei camion. I trafficanti di uomini forniscono tutto, compresi i passaporti.
In questo contesto ci sono organizzazioni locali, com la Casa del Migrante che continuano a prestare assistenza ai migranti, deportati o rifugati.
Questa organizzazione offre non solo alimentazione ma anche assistenza medica, rifuguio, guida spirituale e formazione in diritti umani.
Nonostante il muro i dati dimostarno che i numero dei migranti non diminuisce, ció dimostra che il muro non é soluzione al problema, besí aggrava una situazione di povertá e di violenza giá al limite. Solo riforme sociali ed economiche, cosí come accordi bilaterali tra gli Stati Uniti e il Messico, possono migliorare questa situazione vergognosa e costruire soluzioni sotenibili.
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Recentemente uno degli artisti più famosi di Tijuana, Marco Ramirez «Erre» ha costruito un cavallo di Troia ligneo da mettere a cavallo del muro per far infiltrare nella cittadella Usa gli «invasori» chicanos.
A dispetto di questa dura e crudele “guerra ai clandestini” é ormai noto che l’economia statunitense beneficia notevolmente degli immigrati messicani i quali sono disposti a ricoprire lavori umili (e in condizioni umilianti) ricevendo in cambio pessime condizione lavorative.
La contraddizione é evidente: da una parte un muro per bloccare l’ingresso e dall’altra lo sfruttamento.
La contraddizione é evidente: da una parte un muro per bloccare l’ingresso e dall’altra lo sfruttamento.
La forntiera messicana vive una vera e porpria tragedia umanitaria che si consuma nell’indifferenza dei mass media. In agosto del 201 a san Fernando (Tamaulipas), furono ritrovati i corpi di 72 migranti successivamente alla denuncia di uno dei sopravissuti ad un massacro.
Tra le vittime erano presnti anche migranti proveniente da Brasile, Guatemala, Honduras, El salvador e Ecuador. Dopo questo scandalo in meno di un anno furono ritrovate varie fosse comuni. Ció nonostante la situazione dei migranti messicani continua ad essere un tema di cui non si parla.
Tra le vittime erano presnti anche migranti proveniente da Brasile, Guatemala, Honduras, El salvador e Ecuador. Dopo questo scandalo in meno di un anno furono ritrovate varie fosse comuni. Ció nonostante la situazione dei migranti messicani continua ad essere un tema di cui non si parla.
Secondo Amnesty International, il viaggio che afforntano i migranti per attraversare la frontiera é uno dei piu pericolosi al mondo. Moltissimi migranti scompaiono senza lasciare alcuna traccia di sé, altri vengono sequestrati a scopi estorsivi o assasinati. Cosí pure il numero di vittime di vioelnza sessuale é estremamente alto.
Ringrazio l’MTC e tutti voi che attraverso questo spazio di scambio dimostrate e collaborate concretamente, con un semplice click, a rompere il silenzio intorno a una delle grandi tragedie umanitarie del nostro tempo.
L’indifferenza é l’ostacolo piú grande. La mancanza di attenzione e di risorse impedisce la costruzione di soluzioni degnitose e rispettuose per i migranti sudamericani.
L’attenzione di tutti noi é importante per continuare ad esigere il rispetto dei diritti umani.
Isabella- Elcaprichisaludable