
Monasteri, templi, moschee, sinagoghe sono da sempre custodi di tesori di inestimabile bellezza: opere d’arte, libri antichi, corredi per il culto si affiancano ad un patrimonio di tradizioni fra cui spiccano quelle legate alla cucina. Al pari di ogni rituale, anche le ricette di questi luoghi riattualizzano il passato nel momento in cui vengono replicate, in una concatenazione che risale a secoli fa e che ci ricollega alle nostre radici, di cultura e di identità. Questo è lo spirito che ha animato la ricerca di Jody Eddy, l’autrice del libro di questa settimana, che ha spulciato i ricettari delle principali comunità religiose del mondo per dare vita ad un’opera di grande fascino, dal duplice scopo: la conoscenza delle diverse tradizioni, tanto più preziosa quanto meno accessibili sono questi luoghi e l’invito a farle nostre, in un appello ad una cucina sana e sostenibile, quale è quella che si pratica da sempre in questi luoghi. La proposta di questa settimana, dunque, è un viaggio all’ombra dei muri dei monasteri di tutto il mondo, che ci porterà ora in Tibet ora nelle isole dell’Irlanda, ora nel deserto del Nord Africa, ora nel cuore di Gerusalemme, alla scoperta delle cucine di un paradiso che le signore di CMB hanno deciso che non potesse attendere, quanto meno metaforicamente: le loro meraviglie vi aspettano, a cominciare da domani e noi aspettiamo voi, in questa nuova avventura nel mondo del cibo, attraverso i suoi sentieri meno affollati.
A domani!
SKYU – CURRY DI GNOCCHI DI FARINA

Nella remota regione del Ladakh, fra le nevi dell’Himalaya, sorge il monastero di Thiksey, dove vive una comunità di monaci buddisti in esilio. È un luogo quasi inaccessibile (da New Dehli, un volo aereo di due ore e 22 ore di autobus, su strade che si fanno sempre più impraticabili) e non stupisce che il tempo sembri essersi fermato: anche se i monaci hanno dovuto fuggire dal Tibet, trovando qui un luogo protetto e sicuro, la loro routine è la stessa da 400 anni. Le giornate iniziano al sorgere del sole, con una tazza di corroborante pudding, a base di tè e burro di yak, e proseguono fra suoni di gong e di tamburi, in una preghiera incessante che, nel caso specifico di questa comunità, prosegue anche nelle cucine: i loro “momo” (ravioli tibetani ripieni di cavolo) vengono venduti nel mercato della cittadina ai piedi del monte e mantenere viva la tradizione della coltivazione dell’orzo è stata la loro risposta allo sgomento dei mesi successivi all’esilio. Lo stesso vale per la cucina (anche se il loro cuoco è un ex marinaio indiano, che ha trovato nel buddhismo il suo porto sicuro): le loro sono ricette antiche, che i vecchi tramandano ai giovani, nella fiera consapevolezza che, per quanti colpi potranno subire dalla storia, la loro cultura resterà. E rimarrà anche attraverso i sapori dei loro piatti, fra cui questo profumatissimo Skyu, un curry denso e fragrante in cui si cuociono degli gnocchi di farina, rigorosamente fatti a mano. La base è una panna densa che potete sostituire con latte di cocco, per un risultato ancora più saporito.
📚 SKYU, da ELYSIAN KITCHEN di Jody Eddy, dagli scaffali di #Cook_my_Books alla tavola di @cominciamodaqua
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PERSIMMON HARVEST SALAD – INSALATA DI CACHI

A Poblet, in Tarragona, al confine meridionale della Catalogna, sorge da quasi mille anni un monastero cistercense che da qualche tempo fa parte della lista dei Patrimoni dell’UNESCO. Oltre che alla bellezza delle sue architetture, il monastero deve la sua fama ai giardini e agli orti che lo circondano e che, grazie ad un sistema di coltivazione che unisce saperi antichi con le più moderne tecnologie, non solo consente la sussistenza dei frati, ma è anche al centro di un programma di aiuti per i villaggi vicini. Oltre a ciò, i monaci producono vino (il loro Pinot nero è rinomatissimo per la sua qualità) e forgiano essi stessi i piatti in ceramica per i loro pranzi: la loro vita, insomma, è tutta dedita al rispetto della Regola di San Benedetto, uno dei cardini dell’Ordine, sin dalla sua fondazione. Non sorprende che la loro dieta graviti intorno ai prodotti dell’abbazia, fra cui spiccano i cachi che, oltre a trarre gran beneficio dal clima, vengono poi portati a lenta maturazione al fresco di muri ombrosi, disposti lungo assi di legno. I frati li considerano salutari come le mele (d’altronde, il loro nome greco è “diospyros”, frutto degli dei) e, quando non li convertono in confetture o conserve, li consumano in questa fresca insalata, insieme a nocciole, rucola e mele. Il condimento a base di zenzero, balsamico e scorza e succo d’arancia fa il resto, regalandoci un piatto di raffinata semplicità, perfetto anche per le nostre tavole più profane.
📚PERSIMMON HARVEST SALAD da ELYSIAN KITCHEN di Jody Eddy, dagli scaffali di #Cook_my_Books alla tavola di @giuliffa
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KIBBEH LATKIN – CROCCHETTE DI BULGUR ALLA ZUCCA

Ai piedi del monte al Makmal sorge il suggestivo monastero di Sant’Antonio di Qozhaya. Visto da lontano, trovandosi a 2.700 piedi sopra il mare, appare, come un un’immagine onirica, paurosamente e miracolosamente arroccato su una scogliera.
Qozhaya si traduce in “tesoro della vita, abbondanza di acqua che dona una natura sempreverde” ed è in questa valle che nel VII secolo giunsero i primi appartenenti alla comunità cattolica dei Maroniti; nel tentativo di scappare dalle persecuzioni che stavano subendo in altre aree e regioni vicine.
La comunità, tutt’oggi, è fortemente presente in Libano.
Il monastero di Sant’Antonio è immerso nella natura e i monaci spendono il loro tempo tra la preghiera e la cura dei vasti terreni che lo circondano, raccogliendone i frutti e producendo personalmente e in modo del tutto naturale, olio d’oliva, melassa di melograno, succhi e sciroppi delizioso che, in parte consumano nel quotidiano e in parte vendono nel loro negozio di souvenir a chi ha la fortuna di visitare il monastero.
Dietro la ricetta di oggi si nasconde una curiosa leggenda: si racconta che queste deliziose crocchette siano state inventate da un antico monaco durante il periodo delle persecuzioni. Poiché gli invasori pretendevano di mangiare carne di agnello nel periodo di Quaresima (momento in cui non è concesso ai cattolici consumare carne) grazie alla sua sensibilità, alla sua intelligenza e alla sua abilità in cucina riuscì a creare dei piccoli scrigni di bulgur croccante dal ripieno profumatissimo e a far credere a tutti che contenessero agnello quando, invece, erano a base di zucca.
Ancora adesso, per tradizione, i kibbeh laktin vengono preparati e consumati dai monaci principalmente nel periodo quaresimale.
📚 KIBBEH LAKTIN da ELYSIAN KITCHEN di Jody Eddy, dagli scaffali di #Cook_my_Books alla tavola di @profumicolori
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MATZO BALL SOUP – ZUPPA DI POLLO CON GNOCCHI DI PANE NON LIEVITATO

Masbia (nome intero “masbia soup kitchen”) non è un monastero, ma l’unica mensa al mondo che serva gratuitamente pasti kosher. Gestita dalla comunità ebraica ortodossa di Brooklyn (NY), ha come scopo non solo quello di sfamare gli indigenti, ma di farlo salvaguardando la loro dignità. Per questo, le tavole di Masbia sono ricoperte da tovaglie, i piatti sono di ceramica, le posate di peltro e non ci sono turni di nessun tipo. “La nostra soddisfazione più grande, dice il Rabbino Rapaport, che è il responsabile della gestione dei pasti “è vedere famiglie che, terminato il pranzo, si fermano qui e aiutano i figli a fare i compiti, alla stessa tavola”. Non a caso, oggi Masbia è cresciuta, fino a radunare 3 locali, appena sufficienti a fornire aiuto a una delle comunità più numerose (circa 1 milione e mezzo di persone) e più antiche del mondo (le tracce si perdono al XVII secolo): l’ortodossia è evidente negli abiti, nell’osservanza dei riti e, naturalmente, nella cucina, da sempre una delle cifre identitarie dell’Ebraismo nel mondo. Oltre ad essere rigorosamente kosher, i piatti che vengono serviti sono la prosecuzione di una tradizione antica e immutata nei secoli, che ogni volta ricollega gli Ebrei alla loro storia e alla loro identità. La Matzo Soup, il corroborante brodo di pollo arricchito da gnocchi di farina di pane non lievitato, appartiene di diritto a questo elenco e, ancor più, al menu di Masbia, come si può evincere dal suo nome completo, dove viene preparata dai volontari e servita, oltre che nelle festività prescritte, anche per le feste private dei singoli avventori, a conferma della familiarità e dell’affettuosa premura che qui sono l’immancabile condimento di tutti i pasti.
📚 MATZO BALL SOUP da ELYSIAN KITCHEN di Jody Eddy, dagli scaffali di #Cook_my_Books alla tavola di @cominciamodaqua
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GAJAR KA HALWA – BUDINO DOLCE DI CAROTE E FRUTTA SECCA

Accanto al vivace centro commerciale di Connaught Place, passeggiando nel cuore di Nuova Delhi, si può trovare un gioiello: il Gurdwara Bangla Sahib, tempio sikh (gurdwara), costruito come santuario dal generale sikh Baghel Singh nel 1783 durante il regno Mughal dell’imperatore Shah Alam II, per onorare l’ottavo guru sikh, Guru Har Krishan, vissuto nel luogo a metà del diciassettesimo secolo.
Gurdwara Bangla Sahib è considerato oggi uno dei più importanti luoghi di preghiera sikh al mondo. Negli anni in cui epidemie di vaiolo e colera devastavano la popolazione di Nuova Delhi portando morte e povertà, il Guru Har Krishan spendeva tutto sé stesso aiutando coloro che soffrivano, fornendo assistenza e acqua del suo pozzo rischiando la vita, fino a perderla a causa del colera. La sua generosità ed esempio sono indimenticati e ancor oggi motivo di culto.
Ogni anno durante le vacanze d’autunno Nuova Delhi, e l’intero paese, vengono illuminati da milioni di diya (le tradizionali lampade ad olio in argilla) in commemorazione del coraggio di Lord Rama, della virtù della rettitudine e del trionfo dell’amore. È un momento di vera festa e in questo clima gioioso viene preparato e gustato il piatto di oggi: il gajar ka halwa. Allo Sri Bangla Sahib, come tradizione vuole, gajar ka halwa viene servito solo a Diwali, questo rende il piatto particolarmente amato e atteso al gurudwara.
Tradizionalmente preparato con carote rosse del Punjabi ma di sicura riuscita anche con altre qualità di questo colorato ortaggio, il gajar la halwa è un budino dolce a base di carote con l’aggiunta di frutta secca e uvetta, reso ancora più cremoso dalla presenza di paneer e leggermente speziato grazie al cardamomo.
📚 GAJAR KA HALWA da ELYSIAN KITCHEN di Jody Eddy, dagli scaffali di #Cook_my_Books alla tavola di @vittoriatraversa
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TINGMO CON SHAPTA
di Katia Zanghì

La ricetta appartiene ai monaci tibetani del monastero di Thiksey, in India. Si trova sull’Himalaya, in un picco innevato che rimane isolato per gran parte dell’anno, e la vita continua uguale come quattrocento anni fa. Preparate questi panini al vapore, i Tingmo, soffici come una nuvola, ed intingeteli nella Shapta, una zuppa così profumata e avvolgente che dovrete assaggiarla per capire.
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FILETTO DI MAIALE GLASSATO ALLA BIRRA E MIELE

In Normandia nella Abbazia benedettina a Saint-Wandrille, quando un sacerdote viene ordinato impegnandosi a una vita di povertà, obbedienza e castità, gli è permesso di scegliere cosa includerà il menù della cena di quella sera. La lonza di maiale è una scelta privilegiata e sarà una buona giornata per tutti perché sarà una festa collettiva.
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COZZA AL VAPORE DEL CONNEMARA

La ricetta arriva direttamente dall’Abbazia di kylemore nel Connemara.
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TAJINE DI POLLO OLIVE VERDI E MANDORLE

La ricetta ci porta in Marocco nel khanqah di Jonathan Friedmann, alias Hassan, un centro spirituale dove i sufi di tutto il mondo sono ospitati e si riuniscono per pasti, sessioni spirituali, preghiera, meditazione ed esecuzione di poesia e musica religiosa.
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KUGEL DI PATATE

Piatto tradizionale ebraico ashkenazita, servito nelle mense Masbia, le uniche al mondo che servono gratuitamente pasti Kosher a Brooklyn, New York.
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GALLETTE DI GRANO SARACENO CON SPINACI, UOVA FRITTE, BACON E BRIE

Dal suo arrivo nel Medioevo, il grano saraceno è apprezzato in Normandia, per il suo aroma di nocciola, il sapore leggermente aspro e le proprietà nutritive. Le galette di grano saraceno sono un punto fermo nei vivaci caffè di tutta la Normandia e la Bretagna, consumate a ogni ora da locali e turisti, con un bicchiere di sidro normanno.
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