Home TASTE THE WORLD LA JAMBALAYA, LA CUGINA RICCA DEL RED RICE

LA JAMBALAYA, LA CUGINA RICCA DEL RED RICE

by Alessandra

Per tutti i golosi del mondo, Jambalaya è l’equivalente di una parola magica. E’ l’Apriti Sesamo che spalanca la diga della salivazione, è l’Abracadabra che trasforma un manipolo di ingredienti che altrove fanno a pugni nell’apoteosi dell’armonia, è il Wingardium Leviosa che fa salire al settimo cielo il tuo stato di beatitudine, appena ti ritrovi davanti ad una padella fumante di cotanta meraviglia. Perché questo è, a guardar bene, la Jambalaya: un piatto magico nella sua essenza, magico nella sua storia e, non ultimo, magico anche nella rapidità con cui sparisce: “prega che almeno una di queste foto vada bene“, mi ha detto Greta consegnandomi la ricetta “perché non sono riuscita a salvarne nemmeno un cucchiaio“. E, chissà perché, non avevo dubbi.

 

COME DITE VOI BUON APPETITO?

“Sham, pal ha! Ya!” dicevano gli Atakapa, i Nativi del Golfo del Messico che abitavano anche la futura Louisiana, ai tempi dell’arrivo dei primi coloni. “Jambalaya” potrebbe dunque essere il calco spagnolo di questo augurio, se ci piacciono le versioni “dal basso”, più colorite, forse anche più fantasiose. Gli storici, infatti, preferiscono un’altra ipotesi che ci trasporta invece nientemeno che in Provenza, dove “jambalaja” è tutto quello che risulta dal mischiare a caso le cose (praticamente un gran casino) e, nello specifico di questa storia, anche un riso pilaf. A chi ancora dovesse storcere il naso (sì, lo so, Sham, pa ha! Ya! è più bello), mostrano il testo in cui si trova per la prima volta questa parola, sufficientemente antico (è del 1837) da spazzar via ogni dubbio. Perché “buon appetito volant, scripta manent” e la faccenda sembrerebbe chiusa qui. Almeno fino a quando non compaiono all’orizzonte i  sostenitori di “jamon + paella” e quelli di  “jambon + aya (riso in un peraltro inesistente dialetto africano). O quando non ti raccontano la storia del viandante francese affamato che, ad una stazione di posta, incitò il suo cuoco personale a mettere assieme qualcosa con un “Jean, balayez!” Di una cosa, però, siamo sicuri. Gli Arabi, stavolta, non c’entrano. E anche questa, è una notizia 🙂

E’ NATO PRIMA L’UOVO O LA GALLINA? ovvero CREOLA O CAJUN?

(rumore di coltelli che si affilano in sottofondo)

Creola E Cajun- e fin qui è facile. Le due versioni sono ben distinte e anche se oggi si può mangiare una Jambalaya Cajun col pomodoro o una Jambalaya Creola con tante spezie, non c’è dubbio che l’origine differente abbia sviluppato due ricette diverse. La faccenda si complica quando si tratta di stabilire quale delle due sia comparsa per prima sulle tovaglie di pizzo della buona borghesia cittadina (creola) o sulle tavole di legno dei cugini di campagna (cajun): considerata la diversità delle due ricette, però, non sarebbe poi così peregrino ipotizzare due origini separate, con due genitori identici- la necessità e l’ingegno. Galeotta fu la nostalgia- e la Jambalaya è fatta. 

TROVA LE DIFFERENZE

Anche se oggi- prevedibilmente- il mainstream ha investito anche le definizioni di Creolo e Cajun, ribaltandole completamente (semplificando, sono i Ricchi e i Poveri), le differenze principali fra le due Jambalaya riflettono le differenze fra le due comunità, la prima di città, la seconda relegata nelle “land” che, all’epoca, volevano dire luoghi privi di collegamenti dal resto del mondo, dove il km zero, ancor prima che una virtù, era la dura necessità. La differenza sostanziale fra i due gruppi è condensata in un modo di dire il cui significato supera quello letterale per estendersi dalla cucina a tutto lo stile di vita, più dispendioso il primo, più parco il secondo: “un Creolo sfama una famiglia con tre polli. Un Cajun sfama tre famiglie con un pollo”. Da qui l’uso di prodotti più cittadini (il burro contro l’olio o il lardo) o più moderni (il pomodoro appena importato dagli emigranti siciliani) che marcano la linea della diversità gastronomica, con una nitidezza che però si è molto offuscata nel corso degli anni fino a confondersi del tutto nelle Jambalaya odierne.

E COMUNQUE

E  comunque, la Jambalaya creola l’hanno inventata gli Spagnoli che si struggevano dal desiderio di una bella Paella. Il pomodoro importato in lattine dai commercianti siciliani che avevano aperto bottega a New Orleans divenne il sostituto dello zafferano, mentre tutto il resto fu un contributo delle tante comunità che lì si erano insediate: la salsiccia affumicata  dai Tedeschi, il riso dagli Afro- Americani dell’Africa Occidentale, il mirepoix della Holy Trinity (sedano, cipolla e peperone verde) dai Francesi, il pepe di Cayenne dai Nativi, le spezie dai Caraibi, a dar vita ad un melting pot, nel senso letterale del termine, che ancora oggi commemora il DNA multietnico della città. 

La Jambalaya cajun, detta anche “brown jambalaya”, per distinguerla dalla “red” creola, in origine è senza pomodoro. Deve il suo colore alla tecnica di cottura, che parte non dal soffritto ma dalla carne, e dall’uso di pentole di ghisa, più resistenti alle alte temperature e quindi alla caramellizzazione. Il brodo bollente, aggiunto dopo la rosolatura della carne, incorpora i residui della carne con i loro succhi (i brown bits) e diventa più scuro: il riso, cotto per assorbimento, assume quindi un colore che tende al marrone, assieme ad un retrogusto affumicato che deriva dalla sapiente gestione delle temperature (sono le famose crosticine sul fondo, il paradiso dei golosi, ma la prova del nove per il livello “veramente abile” dei cuochi).

UN POVERO RICCO

Nonostante le apparenze, nonostante l’uso di ingredienti “cittadini”, nonostante la sua presenza in tutti i menu di feste comandate, commemorazioni ufficiali, matrimoni e funerali, la Jambalaya è e resta un piatto povero. Lo dimostra il fatto che non esista una ricetta codificata e che anche nella stessa famiglia sia consentito togliere o aggiungere, a seconda di quello che si ha nel frigorifero o in dispensa. A ben guardare, la ragione del suo successo sta proprio qui, in questa duttilità che fa della Jambalaya un simbolo di democrazia e di integrazione. Quanto meno, nel piatto

ORDUNQUE, LA RICETTA

Famiglia che vai, Jambalaya che trovi, per cui non sto a dirvi quanto ci siamo dannate l’anima, con Greta, alla ricerca della ricetta perfetta. Che, naturalmente, non abbiamo trovato. L’ispirazione è stato comunque questo articolo del The Guardian a firma della sempre scrupolosissima  Felicity Cloake, poi Greta ha messo la quarta (lo so, lo so: ce l’abbiamo solo noi) ed è venuta fuori questa Jambalaya, da urlo.

Prima, però, qualche articolo di approfondimento, se voleste saperne di più

  • sulla Storia della Jambalaya, vi dice tutto Annalena in Jambalaya, ricetta meticcia per necessità e virtù  
  • chi ha dimestichezza con l’Inglese, trova invece altre notizie interessantissime qui
  • un video che vi dimostra come dire Jambalaya significhi tutto e il contrario di tutto è questo, del National Geografic. Consiglio a tutti di guardarlo (meglio a stomaco pieno 🙂

 

Jambalaya

Stampa la ricetta
Porzioni: 6
Nutrition facts: 200 calories 20 grams fat
Rating: 5.0/5
( 1 voted )

INGREDIENTI

½ cucchiaino da caffè di pepe bianco in grani

½ cucchiaino da caffè di pepe nero in grani

1 cucchiaino da caffè di paprika

1 cucchiaino da caffè di peperoncino (Cayenne Pepper)

1 cucchiaino da caffè di timo secco

½ cucchiaino da caffè di sale

2 foglie di alloro

2-3 cucchiai di olio

2 salsicce di maiale affumicate, tagliate a dadini

4 cosce di pollo non disossate

1 cipolla, tagliata fine (mirepoix)

1 peperone verde tagliato fine (mirepoix)

1 gambo di sedano tagliato fine (mirepoix)

4 cipollotti, tagliati fini (mirepoix) la parte bianca separata da quella verde

3 spicchi d’aglio, finemente tritati

1 cucchiaio di Tabasco, più altro da portare in tavola

800 ml di brodo di pollo o di carne

300 g di riso lungo (meglio se parboiled)

300 g di gamberi (o 1 gamberone per commensale)

PREPARAZIONE

  • In una padella fate tostare i due pepi con la paprika e il peperoncino, a fiamma vivace, fino a quando inizieranno a sprigionare il loro aroma (circa un minuto). Non perdeteli d’occhio perché non devono bruciare. Trasferiteli in un mortaio e pestateli il più finemente possibile. Aggiungete timo, alloro e sale e mettete da parte.
  • Scaldate l’olio in un’ampia padella e friggetevi la salsiccia affumicata, a fiamma media: lasciate che la salsiccia rilasci un po’ del suo grasso, poi scolatela con un mestolo forato e tenetela da parte, in un piatto ricoperto di carta assorbente da cucina.
  • Rosolate bene il pollo da entrambi i lati, nella stessa padella. Scolatelo dal grasso di cottura e tenetelo da parte, in un altro piatto (senza carta assorbente)
  • Sempre nella stessa pentola, fate soffriggere la cipolla, il peperone, il sedano, la parte bianca dei cipollotti e l’aglio, fino a quando saranno teneri: calcolate 3-5 minuti, mescolando spesso a fiamma media. Dopodiché, aggiungete le spezie e fate cuocere, sempre mescolando, per un minuto o due. Unite nuovamente il pollo, spruzzatelo con il Tabasco e fatelo insaporire per circa un minuto nel soffritto di verdure e spezie. Coprite poi con il brodo bollente e fate sobbollire a fiamma bassa e a recipiente scoperto per 15 minuti. Il pollo dovrà risultare tenero, ma compatto.
  • Unite allora il riso e fate cuocere, sempre a fiamma bassa e a recipiente scoperto, per 15 minuti. Dopodiché, date una bella mescolata, coprite con un coperchio o con un foglio di alluminio e riducete il calore al minimo. Proseguite la cottura per 10 minuti.
  • Trascorso questo tempo, spegnete il fuoco, togliete il pollo e aggiungete i gamberi e la salsiccia. Mescolate di nuovo il riso, poi coprite e fate riposare per 10 minuti. I gamberi si cuoceranno con il vapore sprigionato dalla Jambalaya, in questa fase e la salsiccia rilascerà ancora parte del suo grasso.
  • Spolpate le cosce e aggiungete la carne di pollo al riso, durante il riposo.
  • Assaggiate prima di servire e regolate eventualmente di sale e pepe. Cospargete la Jambalaya con la parte verde del cipollotto e servite, direttamente nel recipiente di cottura.

 

 

8 comments

Fabiola 17 Luglio 2020 - 16:52

Waooooo, immagino il profumo

Mai Esteve 17 Luglio 2020 - 16:31

“…tre polli per una famiglia o tre famiglie con un solo pollo”—?
Di sicuro non sono creola ma cajun!!!
Adoro questi post, adoro questo TASTE THE WORLD!!!!!

Sonia 17 Luglio 2020 - 12:15

Post da sogno e da cornice 😉

acquaviva 17 Luglio 2020 - 11:31

secondo me un libro su tutte queste cose dovremmo finire per scriverlo veramente!

Mariella Di Meglio 17 Luglio 2020 - 11:31

Che voglia!

Manu 17 Luglio 2020 - 10:33

Questo piatto Greta è una spettacolo ……… ad assaggiarlo a fine cottura si corre il rischio di non fermarsi
Grazie Manu

Elena Arrigoni 17 Luglio 2020 - 9:59

La adoro… è vero, è un piatto a cui non si può resistere.

Valeria 17 Luglio 2020 - 9:45

Meravigliosa!

Comments are closed.

Ti potrebbero piacere anche...