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COME ERAVAMO…. PER DAVVERO!

by Alessandra

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“Come eravamo” è la rubrica dedicata ai laudator temporis actis.

A quelli che si stava meglio quando si stava peggio, a quelli del “non ci sono più i cibi di una volta, le ricette di una volta, le riviste di una volta”

E’ per loro che abbiamo aperto vecchi bauli, rovistato nelle soffitte delle nostre nonne, riesumato annate di vecchie riviste che abbiamo consultato coprendoci di polvere e di ragnatele. Il risultato è questo appuntamento, che vuole fotografare in modo veritiero,ancor prima che verosimile, il come eravamo per davvero, squarciando il velo della nostalgia e guardando in faccia la vera cucina italiana di mezzo secolo fa.

Non potevamo che iniziare con La Cucina Italiana, una rivista che è stata anche un fenomeno di costume, oltre che un successo editoriale senza precedenti: in una società in cui gli uomini e le donne erano primariamente “maschi” e “femmine”, con una divisione dei ruoli che non conosceva intersezioni, La Cucina Italiana era la sola lettura che, pur rivolgendosi dichiaratamente a un pubblico femminile, veniva letta anche dai gourmand in giacca e cravatta. Sulle sue pagine si sono formate generazioni di casalinghe, prima ancora che di cuoche, vista la varietà delle rubriche che spaziavano dai consigli per la pulizia della casa al cucito, dai suggerimenti per allevare i figli al giardinaggio e via dicendo. Il clichè era quello stereotipato e conformista di chi aveva un solo obiettivo nella vita (far felice il marito) e un solo modo per ottenerlo (attenersi fedelmente alle regole): le riviste a loro dedicate (e La Cucina Italiana su tutte) diventavano quindi espressione di queste istanze, confezionandole con un po’ di brio. La moglie doveva essere comunque gaia e sorridente e portare vivacità anche a tavola, aprendosi magari a qualche trovata della modernità, come queste salsicce straniere, dal nome impronunciabile, a cui dedichiamo il primo speciale.

 

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Wuster li chiama un numero del 1952 (l’anno della ripubblicazione, dopo la guerra) , sdoganando la pronuncia più frequente, di un popolo che aveva ancora troppe ferite aperte con la Germania e la sua lingua per mettersi a disquisire su umlaut e corrette grafie. Negli anni Settanta,li troveremo  dappertutto: l’insalata russa era sovrana, ma anche guarniti con la maionese, avvolti con pancetta e poi fritti (i famosi diavoli a cavallo), cosparsi di maionese (la senape era ancora un prodotto troppo di nicchia, fatto salvo l’estremo Nord Est), bolliti nella loro confezione o – orrore- mangiati crudi in merende improvvisate, per appetiti robusti e in crescita. Ma negli anni Cinquanta, dovevano essere quanto di più esotico proponesse un mercato ancora legato al territorio e alla tradizione. Da qui il bisogno di intervenire in modo intelligente, coniugando la novità con il piatto più tradizionale dell’epoca: quell’arrosto della domenica che, come tutti i piatti che si rispettino, doveva tener conto anche della presentazione scenografica. Perchè, si sa, anche l’occhio vuole la sua parte…

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La ricetta è un esempio del peggiore svotafrigo: vitello e wuster si abbinano a uova sode, groviera, 14 capperi (perchè con i bilanciamenti, si sa, dobbiamo essere precisi) , olive, peperoncini e 100 g di pancetta, che non sia mai che ci si tenga troppo leggeri. Trovare un riferimento per l’ispirazione è impossibile- quanto meno, io non ci riesco: avevo pensato alla choucroute alsaziana, sul momento, ma non regge- quasi quanto dare un senso alla presentazione: la decorazione sull’arrosto sembra l’attributo di San Lorenzo (il riferimento è alla graticola di wurstel e capperi sopra l’arrosto e lo so che stavate pensando tutti la stessa cosa), le olive sembran missili, sui wurstel, perdonatemi, passo.

 

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E comunque, a conferma di quanto si diceva più sopra, l’arrosto coi wuster dovette riscuotere successo se anni dopo, precisamente nel 1959  la rivista tornò in argomento, ripubblicando la stessa ricetta, in versione riveduta e corretta. La grafia è corretta, la lista degli ingredienti si è alleggerita, l’arrosto viene lardellato con queste salsicce, nella convinzione che basti toglier loro il budello per ottenere gli stessi esiti della pancetta o del lardo.

Olio e burro come se piovesse, una cottura alquanto discutibile e la benedizione finale della signora Olga, con tanto di consigli per non sbagliare una siffatta prelibatezza. E rutto libero, a seguire.

 

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Avete vecchi numeri di riviste di cucina di quegli anni? Pensate che possano contenere ricette degne di questa rubrica? Volete condividere qualche chicca dei quadernetti della nonna o qualche ricordo che ancora vi attanaglia, ogni volta che imbandite la tavola? scriveteci a mtchallenge@gmail.com: saremo felici di pubblicare i vostri contributi in questa rubrica

21 comments

edvige 24 Gennaio 2018 - 15:48

Essendo del 43 cosa mangiavo di sicuro non i wuerstel anche se Trieste essendo stata sotto imp.austro.-ungarico li conosce molto bene. Da noi semplicemente vienna e si sapeva cosa trattavasi. Ho iniziato ad acquistare negli anni 70 ma non riviste libri anzi enciclopedie grandi e nutrite anche di forma e confesso, da quello della cucina internazione del Buonassisi ho tratto piu’ volte delle favolose ricette.
Articolo bellissimo brava, 60 anni fa era giovanissima (14 – nel 57 ) mi hai fatto ritornare indietro col pensiero ma la cucina non era ancora una priorita’ e si viveva in luoghi ove ancora la cucina rappresentava quello che trovavi nel piatto.
Grazie dell’articolo buona serata,

Acquaviva 24 Gennaio 2018 - 14:13

Che posso dire?! Con la mamma svizzera queste erano ricette da principianti! Comunque un’infanzia a wurstel crudi a morsi per merenda come se piovesse…

Dani 24 Gennaio 2018 - 13:00

Meraviglioso articolo!!! ci sono anche tante cose buone in quelle riviste (come le prime infografiche di cui io mi sono innamorata perdutamente 😀 ) ma la tua lettura è perfetta e azzeccatissima (come sempre 😛 )

Mapi 24 Gennaio 2018 - 12:49

mI STO ROTOLANDO DAL RIDERE, GIURO, A VEDERE QUELLE FOTO E LEGGERE LE RICETTE.
a CASA MIA SI CHIAMAVANO “VIUSTEL” ED ERANO PRESENTI PER LO PIù NELL’INSALATA DI RISO; QUALCHE VOLTA VENIVANO PROPOSTI COME SECONDO.
hO FATTO IL PIENO ANCH’IO DI SOFFICINI (E MI PIACEVANO ANCHE!) E DI BASTONCINI DI PESCE CHE MIA MADRE, BRAVA CUOCA PER LA VERITà, CI PROPONEVA IN SETTIMANA, VISTO CHE LAVORAVA. fORTUNATAMENTE ALTERNAVA I SURGELATI AD ALTRI PIATTI E VARIAVA SPESSO: NON HO UN RICORDO PRECISO DEI PIATTI DELLA DOMENICA, PER DIRE, SEGNO CHE LI CAMBIAVA SPESSO. iNVECE IN SETTIMANA IMPERAVANO GLI SPAGHETTI AL POMODORO, PROPOSTI A PRANZO E A CENA. iO LI ODIAVO, TANTO CHE DA QUANDO SONO USCITA DALLA CASA PATERNA HO COMPERATO GLI SPAGHETTI UNA VOLTA SOLA, PER UN mtcHALLENGE :-). lO STESSO mtc CHE MI HA FATTO SCOPRIRE CHE IN REALTà IL SUGO DI POMODORO NON è COSì MALE. 😉

kika 24 Gennaio 2018 - 11:47

Scusate ma io questa rubrica proprio non la posso guardare 😛
Mia mamma cucinava il sabato e la domenica ed erano sempre le stesse cose(buone per carità), il sabato a pranzo la pasta e ricotta o pasta e broccoli e la domenica pollo arrosto con patatine fritte o polpette al sugo e insalata. Durante la settimana lei lavorava tutto il giorno e la sera cenavamo con quello che lei portava a casa dalla mensa della sua azienda e quando non portava niente c’erano toast con prosciutto e formaggio e i tanto amati wuster con il purè in busta. Vi dico solo che sono almeno 30 anni che i würstel non riesco nemmeno piu’ a guardarli e che non ho mai fatto il pure’. Per fortuna la zia abitava al piano di sopra, era lei quella delle torte fatte in casa e tutto il resto e ricordo le sue riviste di cucina, penso che siano le stesse che ancora sono sotto al mobile della televisione in casa sua. Della sua cucina ho solo un bel ricordo, quindi non penso che mi abbia mai fatto mangiare i würstel.

Tamara Giorgetti 24 Gennaio 2018 - 10:46

stupendo il tuo articolo alessandra, ho sempre detestato la frase “si stava meglio quando si stava peggio” e “non ci sono più i cibi di una volta” ricordos empre che con i cibi di una volta ci si ammalava facilmente, si ingozzava di tutto, le colture erano piene di pesticidi dati alla come capita, le dosi se le facevano da soli, li danno anche adesso ma almeno sono controllati da chimici esperti, forse possiamo dire che ci sono ricette che rifatte con l’esperienza di oggi potrebbero risultare ottime. la rubrica mi strapiace, ho tante riviste oltre al talismano, e alla cucina internazionale della curcio, proprio in pieni anni 70, mi piacerebbe rifare almeno una ricetta

MANU 24 Gennaio 2018 - 10:17

Che bello questo tuffo nel passato a parte la cozzaglia di sapori abbinati mi chiedo in quanti avranno veramente lardellato l’arrosto di vitello con i wurstel? E poi quel povero arrosto di vitello così bucato non si sarà ribellato?
Bellissima idea ripercorrere il passato per quello che era

Dani 24 Gennaio 2018 - 12:58

Manu le riviste che trovi nell’articolo sono mie, di una mia “nonna”. Mi è caduto l’occhio su queste ricette perché alcune di quelle con i wurstel erano segnate con delle cornicette, come a dire “questa la voglio proprio fare”… 😛

MANU 24 Gennaio 2018 - 16:06

In effetti Dani questa era cucina dell’epoca e sicuramente erano ricette che sapevano di pranzi importanti anche perché immagino che il vitello non fosse proprio un pezzo di carne di tutti i giorni
Direi che il nostro stupore lo avrebbero i miei nonni di fronte ad un piatto moderno di cucina da grandi chef o molecolare
Guardare con occhi nuovi IL NOSTRO passato non Potra’ che arricchirci

Perladarsella 24 Gennaio 2018 - 10:09

Eh, altri stomaci, mi viene da dire. A casa di mia madre c’è il Cucchiaio d’argento edizione primissimi anni ’60 e Il Carnacina, forse un po’ più recente. per me son sempre stati entrambi letture esilaranti, nel primo mi ero innamorata dell’inserto fotografico sul galateo, nel secondo dell’uso della carta a pizzo, senza la quale era praticamente impossibile cucinare alcunché 😀
A casa mia comunque cucinava mia nonna che aveva imparato con l’Artusi, fortunatamente.

Alessandra 24 Gennaio 2018 - 11:28

mia nonna non aveva libri di cucina e credo che, segretamente, se ne vantasse.
il primo libro che ricordo di aver usato con lei e’ stato il manuale di nonna papera, regalo della mia prima comunione. avevamo fatto una omelette dolce, disastrosa 🙂
mia madre in compenso faceva per 10 ma ha saltato tutta questa parte.artusi si, carnacina e veronelli no, cucchiaio d’argento nemmeno, talismano giammai. solo una sfilza infinita di libri inglesi, anche tradotti in italiano, ma che non si filava nessuno. ma lei e’ sempre stata cosi. per la sua strada, senza sentire ragioni. E in questo caso, mi è andata bene 🙂

Mapi 24 Gennaio 2018 - 12:43

a ME INVECE L’OMELETTE à LA CONFITURE DEL mANUALE DI nONNA pAPERA PIACEVA DA MATTI, ME LA FACEVO SPESSO PER MERENDA. 🙂

Giulietta | alterkitchen 24 Gennaio 2018 - 10:08

Avrò gli incubi per una settimana..
Comunque certifico che per mia nonna i wurstel erano solo e soltanto WUSTER

Alessandra 24 Gennaio 2018 - 11:24

per la mia erano wrstwrw. sputacchiamenti inclusi

Lara 24 Gennaio 2018 - 9:44

Io vi parlo dei primi anni 70 ma credevo di essere l’unica ad avere avuto un’infanzia difficile, tutti a parlare delle ricette delle loro nonne e delle loro mamme, mia mamma faceva l’infermiera era fuori giorno e notte il massimo della cucina nostra era pane e formaggio, avendo il tempo di passare a comprarlo ovviamente.
MIA nonna abituata a lavorare in campagna partoriva idee pesantissime e A parte un paio di piatti veramente della tradizione nostra per il resto ci avviciniamo molto all’arrosto di cui sopra…. Per me è davvero meglio il come siamo di Come eravamo. Negli anni 70 poi c’è stato il boom degli alimenti preparati per cui il dado era comunemente considerato migliore del brodo, tutti infilavano le cose già pronte anche nei piatti classici e non c’era nessuna attenzione nel confronto dei conservanti che venivano usati a piene mani. Ne STIAMO scoprendo ora gli effetti, per dire, Quindi parlare di periodo d’oro mi sembra vagamente sovradimensionare il ricordo.

Alessandra 24 Gennaio 2018 - 11:23

condivido tutto, anche se ho avuto una mamma strepitosa, in cucina e fuori. lavorava 15 ore al giorno ma cucinava sempre e sempre con allegria. Pero’ ho mangiato tante merendine, tanti capitan findus, ho visto demonizzare l’olio extravergine in favore del tipo che saltava la staccionata, e no alla cucina a fuoco lento, si alle scatolette, ai surgelati, alle scorciatoie. e via dicendo. e poi ho toccato con mano il grande lavoro dei piccoli e medi produttori per preservare una qualità delle materie prime che neanche ci sognavamo, in passato. e slow food e tanti altri movimenti analoghi. e’ per questo che mi prende la carogna ogni volta che sento parlare della buona cucina di una volta. parliamone, va la’ 🙂

laura 24 Gennaio 2018 - 9:33

Quoto Debora sulle ricette attuali, magari hanno la descrizione passo-passo ma sul contenuto… boh

Per le ricette sopra: mi è salito il colesterolo solo a leggere

In ogni caso onore alla digestione dei lettori dell’epoca!

Alessandra 24 Gennaio 2018 - 11:03

concordo. adesso sono tanto fumo e poco arrosto, tanto per rimanere in tema con le ricette di questa puntata 🙂

Debora 24 Gennaio 2018 - 9:26

I wurstel dentro l’insalata di riso, nelle patate alla pizzaiola, arrostiti?! che ricordi 🙂
Però le ricette di una volta avevano il vantaggio di farti capire subito quali erano gli ingredienti… prendere o lasciare.
Al contrario di molte di ricette di oggi che dopo averle lette, primo ti rendi conto di non avere metà degli ingredienti mentre l’altra metà non sai nemmeno cos’è… e poi ti chiedi, ok quindi saprà di?! Boh
Quanto devono essere vecchie le riviste? Agli anni 50 non ci arrivo ma fine 60, inizi 70 sì…

Alessandra 24 Gennaio 2018 - 10:59

fine sessanta, inizio settanta sono perfette!
grazie!!!

debora 31 Gennaio 2018 - 8:28

Chiedo venia ma mi sono sbagliata e non di poco… A casa mia dagli anni 80 in poi a casa di un paio di zie anni 60/70 ma loro sono a Palermo ed io a Modena, sorry 🙁

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