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MTC n. 63 – Tema del mese: Monkey Bread

by Redazione

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“E se prima ero solo a ballare l’Hully Gully,

adesso siamo in due a ballare l’Hully Gully.

E se prima eravamo in due a ballare l’Hully Gully,

adesso siamo in tre a ballare l’Hully Gully…”

Nel momento stesso in cui ho cominciato ad approfondire lo studio della ricetta del monkey bread  questa canzoncina ha cominciato a farsi spazio nella mia testa. Non sono pazza (o forse si?): c’è tutta una storia dietro.

Pronti a seguirmi?

Storia di un furto, come spesso avviene in cucina. Una delle ricette più tipicamente made in USA in realtà ha tutt’altre origini, poi che gli ammmericani siano specializzati nel trasformare in oro tutto quel che toccano è un’altra storia.

Il monkey bread altro non è che Aranygaluska, un dolce ungherese di origini ebraiche. Il nome può essere tradotto letteralmente in “gnocchi dorati” e lo si ritrova nei ricettari locali fin dal 1880. Si tratta di una pasta brioche divisa in piccole palline e ricoperta con una glassa a base di burro, zucchero e noci. Sin dal 1848, in seguito alla fallita rivoluzione contro la dominazione asburgica, una consistente ondata migratoria proveniente dall’Ungheria si spostò verso gli Stati Uniti e il Canada. E quando si sposta un popolo, con lui si spostano anche la sua storia e le sue tradizioni.

Sbarcato nel Nuovo Mondo l’aranygaluska subì una lenta trasformazione.

Secondo voi gli immigrati appena arrivati disponevano di una cucina? Di un forno?

Direi di no. Spesso e volentieri si spostavano su carri e cuocevano su fuoco diretto utilizzando il Dutch oven, una specie di paiolo con coperchio.

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E voi direte: – “E allora?”

Allora cambia il modo di disporre le palline di pasta: non avendo abbastanza spazio invece di allinearle cominciano a sovrapporle.

Un primo step in direzione del cambiamento.

Abbiamo altre prove che testimoniano la provenienza ungherese del monkey.  Il Betty Crocker Cookbook (1942), libro stampato in pieno periodo bellico, dalla multinazionale General Mills, suggeriva ricette che si adattavano al periodo caratterizzato dal razionamento delle derrate alimentari. Tra le varie ricette compare l’ Hungarin Coffee Cake, un dolce che prevedeva l’utilizzo dello zucchero rimasto in fondo ai contenitori.

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Col passare degli anni e con la comparsa dei primi stampi le ricette si moltiplicarono e gli Stati Uniti furono invasi dai cosiddetti “bubble bread”, come i Parker House rolls o i Fingers Rolls che apparvero nel Mrs. Lincoln’s Boston Cook Book scritto da Mary Johnson Lincoln (Boston, 1884).

Gli stampi stessi comportarono una trasformazione estetica del dolce. Si scoprì che per permettere una cottura uniforme ed evitare il collasso dell’impasto, molto ricco di burro, era necessario utilizzare stampi da ciambella, con il perno centrale

La ricetta del monkey esplose definitamente grazie ad un’attrice (anzi a due, ma abbiate pazienza!): Zasu Pitts.

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Attrice del cinema muto (se avete visto Rapacità è lei) che alla fine di un’intervista comparsa sul Winnipeg Free Press l’8 febbraio del 1945 intitolata Zasu pitts Just Love to Cook descrive un pane perfetto per i buffet in cui le palline sono vicine una all’altra, facilmente separabili tra loro, spennellate leggermente di burro.

Subito sono andata a vedere se Zasu avesse origini ungheresi o ebree, ma non ho trovato nulla. Cercando ho scoperto che la madre era irlandese e sorpresa, sorpresa, guardate qual è un pane famoso in Irlanda? Il Waterford Blaa:

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Non vi ricorda qualcosa? Aggiungo che il monkey al tempo di Zasu era ancora privo di cannella e con poche quantità di burro.

Volete sapere chi era l’altra attrice? Nientepopodimeno che Nancy Regan, nata attrice e diventata first lady.

Premessa. Dovete sapere che negli anni ’40-’50 esplose la moda della pasta lievitata in scatola. Quando la vidi per la prima volta negli States mi presi un colpo. Sono dei rotoli di cartone che si srotolano e dai quali fuoriescono dei cinnamon rolls belli e pronti.

L’esplosione di questo prodotto fece sì che il monkey venisse preparato con facilità in ogni casa e lo si trovasse raramente in pasticceria.

La Nancy, che evidentemente non aveva voglia di mettersi ai fornelli, ordinava per Natale e per tutte le varie ricorrenze di famiglia in una pasticceria vicino al ranch in California il monkey.  Quando il marito divenne presidente degli Stati Uniti riuscì ad ottenere la ricetta originale dalla pasticceria e trasformò il monkey nel dolce delle feste della Casa Bianca, facendo sì che finisse anche nel libro White House Family Cookbook by Henry Haller (New York, 1987, p 332-333).

E visto che a ballare l’Hully Gully si può essere in tanti sappiate che è un dolce che continua ad evolversi…dalla scimmia al gorilla il passo è breve: basta aggiungere dei pezzetti di formaggio all’interno di ogni pallina. Venuta voglia?

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Gorilla bread

Un ultima cosa e poi vi lascio in pace. Il nome!

Aggregazione?

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Fotografia di Valentina De Felice

Monkey Bread by Tori Avey 

per uno stampo da 25 cm

  • 18 g di lievito di birra fresco
  • 60 ml di acqua tiepida
  • 180 ml di latte intero tiepido
  • 65 g di zucchero semolato
  • 115 g di burro
  • 73 g di uova
  • 18 g di tuorlo
  • 18 g di sale
  • 525 g di farina di forza

Per completare:

  • 115 g di burro
  • 200 g di zucchero
  • 2 cucchiai di cannella

Per la pasta. Fate sciogliere il lievito nell’acqua con 5 g di zucchero presi dal totale. Fate riposare per 10 minuti.

In una planetaria con foglia unite il composto con lievito alla farina, le uova, il tuorlo, lo zucchero e il latte. Cominciate a lavorare a bassa velocità.

Quando il composto si sarà ben amalgamato aggiungete il burro in piccole quantità, continuando a lavorare con la frusta, e il sale.

Quando l’impasto sarà ben incordato rovesciatolo sul piano di lavoro lavoratelo ancora per pochi minuti procedete alla pirlatura e trasferite in una ciotola coprire e lasciar lievitare fino al raddoppio o in frigorifero tutta la notte.

Se avete riposto l’impasto in frigorifero riportatelo a temperatura, sgonfiatelo leggermente e ricavatene tante piccole palline da un centimetro.

Fate sciogliere il burro e fatelo raffreddare. Unite la cannella allo zucchero. Intingete ogni pallina prima nel burro e poi nello zucchero alla cannella (se avete un figlio a disposizione fatevi aiutare!). Imburrate uno stampo e trasferitevi le palline in modo tale che siano ben unite tra loro.

Fate riposare per 45 minuti.

Accendete il forno a 190°.

Fate cuocere per circa 40-50 minuti. Una volta cotto fate riposare per 5 minuti e poi capovolgete sul piatto da portata (seguite il consiglio: avendolo girato da freddo ho avuto difficoltà a mantenere la forma). Si mantiene per due giorni a temperatura ambiente chiuso in un sacchetto per alimenti.

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Fotografia by Valentina De Felice

Fonti:

  • https://jwa.org/blog/eating-jewish-aranygaluska
  • http://toriavey.com/toris-kitchen/2013/12/american-cakes-monkey-bread/
  • http://martindwyer.com/m/archives/archive.php?f=003600.html

Ringrazio Valentina per essersi prestata a farmi da fotografa: grazie!

21 comments

FLavia Galasso 26 Febbraio 2017 - 18:44

Eccomi qua …. bel post, e chissa Quei librinche meraviglie di ricette nascondono…. lo decomprovare il monkey …. deVo dopo il tuompost Cri!

Irene Midiri 25 Febbraio 2017 - 8:43

Che bella questa storia del monkey bread e naturalmente il dolce ha catturato la mia attenzione… da fare assolutamente, Bravissima!!!

FedeB 25 Febbraio 2017 - 0:17

Bello Cri!!!!!!
Un articolo bellissimo e soprattutto spassoso perché l’ho letto fino in fondo e sai bene che sono una che cede dopo 3 righe se la mia attenzione non viene catturata! 😀
La storia del monkey bread è fikissima e la ricetta pure! La devo provare!

Chiara 24 Febbraio 2017 - 20:47

Bravissime tuttedddue !

Francicarloni 24 Febbraio 2017 - 20:13

bellissimo post, cri! questo monkey bread mi chiama, altro che monkey business 😀 brava!!!!!

Mai 24 Febbraio 2017 - 17:33

Aspettavo questo post!
La torta mono la volevo fare da anni poi me ne sono dimenticata e quando l’ho vista nell’elenco delTDM ho tirato un sospiro… adesso alla fine, avrò una riceta valida da seguire!
Ma ho avuto anche altro: una storia su questa torta, raccontata da te!

GRazie Cri!!!
Salutami la Vale…

cristiana di paola 24 Febbraio 2017 - 19:33

anch’io erano anni che volevo farla e ho colto la palla al balzo! grazie mai

Giuliana 24 Febbraio 2017 - 15:29

ma bello, mi attira tantissimo! E bello il tuo pezzo Cristiana! Grazie

cristiana di paola 24 Febbraio 2017 - 19:32

Grazie Giuliana!

Eleonora 24 Febbraio 2017 - 14:56

Che bel lavoro. Quanta bellezza, quanta ricchezza in questo post.
Grazie Cristiana.

cristiana di paola 24 Febbraio 2017 - 19:32

grazie mille

Mariella 24 Febbraio 2017 - 12:59

A me viene da pensare anche ai butcheln (sempre in ambito austro-ungarico siamo) e, di conseguenza al danubio. Bellissimo articolo, Cri!

cristiana di paola 24 Febbraio 2017 - 19:32

infatti la tradizione è molto più lontana, come anche quella dei cinnamo rolls. C’è sempre un filo conduttore

kika 24 Febbraio 2017 - 11:06

E io che stavo dicendo “va sta scimmietta che parla di foto de mmmmerda, cosa è capace di fare?!”
Va che il fatto che tu e la Vale abitiate così vicino può essere una gran figata in questo senso.
Fatti insegnare tutto quello che sa, fatti seguire passo passo mentre fai le foto.
Vai a farle nella sua “masseria”, perchè solo lei ha 4 e dico 4 armadi pieni di props.
e poi magnateve tutto alla facciazza nostra.

Ciao scimmiette, mancate tanto a me!

cristiana di paola 24 Febbraio 2017 - 19:31

Ha provato a darmi due o tre nozioni. E’ stato fantastico: mi ci sono messa anche d’impegno col pollo, dopo aver finito, magnato e scaricato tutte le foto erano sfocate: la devo rapire!

KATIA ZANGHI' 24 Febbraio 2017 - 10:43

SPLENDIDO LAVORO. UNA RICERCA A RITROSO FATTA CON GRANDE professionalità MA RACCONTATA CON GRANDE LEGGEREZZA.

cristiana di paola 24 Febbraio 2017 - 19:29

ci provo ogni volta e avrei voluto scrivere tanto altro ancora: sarà per la prossima!

sabrina 24 Febbraio 2017 - 10:22

Che bella storia e quante sorprese qui!!! bravissima

cristiana di paola 24 Febbraio 2017 - 19:27

grazie!!

Vale 24 Febbraio 2017 - 9:30

Lo ho letto tutto d’un fiato anche se mentre fotografavamo insieme mi avevi raccontato la storia di questo buffissimo e goloso dolce. Io ne conoscevo solo la versione salata ed ignoravo che la sua origine di fatto fosse dolce. L’articolo e la storia sono molto interessanti e scritti in un modo così simpatico che ti appartiene ed e’ solo tuo. Bravissima

cristiana di paola 24 Febbraio 2017 - 19:27

e comunque quello salato sa da fà

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