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MTC N. 57 – TEMA DEL MESE: LA PASTIERA NAPOLETANA

by MTChallenge
“Tradizionale e immancabile il giorno di Pasqua su ogni mensa napoletana, la pastiera è quasi un’intima parte del popolo napoletano che annualmente riemerge, perfino in questa nostra era ansiosa di abolire tutto ciò che è tradizionale.
Nessuno sfugge al fascino della pastiera, fascino dovuto non tanto alla golosità quanto ad un
inconscio sentimento d’amore che si rinnova di padre in figlio.
E’ certo che di questo dolce, antesignano, per il suo profumo, della imminente primavera, in periodo pasquale si fa un gran parlare.
Ogni famiglia ha la sua personale ricetta, variata soprattutto nelle proporzioni: chi vi mette la crema e chi no; l’uno la preferisce molto profumata di acqua di fiori d’arancio, l’altro invece fa di quest’ultima un uso molto parsimonioso.
Tutti però discutono sulle regole e sui propri gusti; si rammaricano se la pastiera di quest’anno è riuscita meno bene di quella dell’anno precedente, se ne gloriano se si verifica il contrario e se la scambiano per poterla reciprocamente giudicare, comunicandosi dosi ed accorgimenti. E poiché la pastiera si conserva almeno per una settimana, i giorni successivi alla Resurrezione sono punteggiati di piccoli assaggi (di mattina accompagnata da una tazza di caffè, la pastiera è gustosissima) che prolungano la festosa atmosfera pasquale fino a quando il ‘ruoto’ non resti completamente vuoto. E l’anno dopo si ricomincia.”
Da “La Cucina Napoletana” di Jeanne Caròla Francesconi
«E, venuto lo juorno destenato, oh bene mio: che mazzecatorio e che bazzara che se facette! Da dove vennero tante pastiere e casatielle? Dove li sottestate e le porpette? Dove li maccarune e graviuole? Tanto che nce poteva magnare n’asserceto formato.»
(Giambattista Basile, La gatta cenerentola)
Storia
La pastiera probabilmente, sia pure in forma rudimentale, accompagnava le feste pagane che celebravano il ritorno della primavera, durante le quali le sacerdotesse di Cerere portavano in processione l’uovo, simbolo di vita nascente.
Il grano o il farro, mescolato alla morbida crema di ricotta del ripieno, potrebbe derivare direttamente dal pane di farro tipico delle nozze romane dette appunto “confarreatio”. Un’altra ipotesi la fa risalire alle focacce rituali che si diffusero all’epoca di Costantino il Grande, a base di latte e miele, che i catecumeni ricevevano come offerta nella sacra notte di Pasqua al termine della cerimonia battesimale.
L’attuale versione fu forse inventata in un ignoto monastero napoletano dove una suora volle che in quel dolce, simbolo della Resurrezione di Cristo, si sentisse il profumo dei fiori dell’arancio del giardino conventuale. Alla bianca ricotta mescolò una manciata di grano che,
dal nero della terra in cui viene seminato germoglia e risorge splendente come oro. Aggiunse poi le uova, simbolo di nuova vita, il cedro e le spezie venute dall’Asia.
È storia nota poi, che le suore dell’antichissimo convento di San Gregorio Armeno si siano aggiudicate la reputazione di maestre nella complessa arte di preparazione della pastiera e nel periodo pasquale, ne confezionavano in gran numero per le mense delle dimore patrizie e della ricca borghesia.
Ogni brava massaia napoletana si considera detentrice dell’autentica, o della migliore, ricetta di pastiera. Ci sono tuttavia due scuole di pensiero a riguardo: la più antica insegna a mescolare alla ricotta semplici uova sbattute; la seconda, decisamente innovatrice, raccomanda di mescolarvi una densa crema pasticciera che la rende più leggera e morbida, innovazione dovuta al dolciere-lattaio Starace la cui bottega sorgeva in un angolo di Piazza Municipio e che ora, purtroppo, non esiste più.
La pastiera va confezionata con un certo anticipo, non oltre il Giovedì o il Venerdì Santo, per dare agio a tutti gli aromi di cui è intrisa di ben amalgamarsi in un unico e inconfondibile sapore. Appositi “ruoti” di ferro stagnato, sono destinati a contenere la pastiera, in essi viene venduta e anche servita, poiché è assai fragile e a sformarla si rischia di rovinarla irrimediabilmente.
Leggenda
La leggenda fa risalire le origini della pastiera al mito di Partenope, la sirena che, incantata dalla bellezza del golfo, disteso tra Posillipo ed il Vesuvio, fissò lì la sua dimora. Ogni primavera la bella sirena emergeva dalle acque per salutare le genti che popolavano il golfo, allietandole con canti d’amore e di gioia. Una volta la sua voce fu così melodiosa e soave che tutti gli abitanti ne rimasero affascinati e rapiti: accorsero verso il mare commossi dalla dolcezza del canto e delle parole d’amore che la sirena aveva loro dedicato e, per ringraziarla di un così grande diletto, decisero di offrirle quanto di più prezioso avessero, così sette fra le più belle fanciulle dei villaggi furono incaricate di consegnarle dei doni: la farina, forza e ricchezza della campagna; la ricotta, omaggio di pastori e pecorelle; le uova, simbolo della vita che sempre si rinnova; il grano tenero, bollito nel latte, a prova dei due regni della natura; l’acqua di fiori d’arancio, per il loro profumo; le spezie, in rappresentanza dei popoli più lontani del mondo; infine lo zucchero, per esprimere l’ineffabile dolcezza profusa dal suo canto.
La sirena, felice per i tanti doni, quando si inabissò per fare ritorno alla sua dimora, depose le offerte ai piedi degli dei e questi, inebriati anch’essi dal suo soavissimo canto, riunirono e mescolarono con arti divine tutti gli ingredienti, trasformandoli nella prima pastiera che eguagliava e, anzi, superava in dolcezza, il canto della stessa Partenope.
C’è poi anche una leggenda più realistica che narra di alcuni pescatori rimasti in balìa delle onde per un giorno ed una notte a causa di un improvviso maltempo. Costoro, una volta riusciti a rientrare sulla terraferma, interrogati su come avessero potuto resistere in mare per
così tanto tempo, risposero che avevano potuto nutrirsi della ‘Pasta di Ieri’, fatta con ricotta, uova, grano ed aromi e anche per ciò la Pastiera iniziò ad essere simbolo di rinascita, oltre che per gli ingredienti, perché aveva dato una chance di sopravvivenza a dei pescatori.

Ingredienti

Per la pasta frolla:

– 250 g di farina

– 125 g di burro o sugna

– 125 g di zucchero

– 3 tuorli

per il grano:

– 170 g di grano precotto

– 350 ml di latte

– la buccia grattugiata di mezza arancia o limone

– una noce di burro o sugna

– 1 cucchiaino di zucchero

– 1 pizzico di vaniglia

per il ripieno:

– 125 g di ricotta di pecora

– 170 g di zucchero

– 3 tuorli d’uovo

– 2 albumi

– 50 g di acqua di fiori d’arancio

– 20 g di cedro candito

– 20 g di arancia candita

– 30 g di cocozzata (zucca candita)

– un pizzico di cannella in polvere

Preparazione

Cominciate dalla cottura del grano perciò ponetelo in una pentola capiente assieme al latte, la buccia d’arancia, lo zucchero, il burro e la vaniglia e lasciate andare a fuoco lento per circa
un’ora o, almeno, fino a che il latte non si sarà assorbito abbastanza da creare assieme al resto una crema. Spegnete e lasciate raffreddare.

La preparazione della frolla è semplicissima: fate una fontana con zucchero e farina, ponete al centro i tuorli e il burro freddo a tocchetti. Con le punte delle dita sbriciolate il burro con la polvere e impastate quanto basta perché si formi una palla che metterete a riposare per circa mezz’ora in frigorifero.

Per quanto riguarda il ripieno, pesate la ricotta, passatela al setaccio e mescolatela con lo zucchero per qualche minuto. Aggiungete i tuorli uno alla volta (lasciando da parte i due albumi che monterete a neve), il grano cotto, i canditi a pezzettini, la cannella e l’acqua di fior d’arancio: quest’ultima va aggiunta gradualmente ed eventualmente non tutta secondo gusto. Date una mescolata al tutto e finite con gli albumi montati, amalgamandoli al composto con movimenti dal basso verso l’alto.

Trascorso il tempo di riposo della pasta frolla, prelevatene i 2/3 e stendetela tra due fogli di carta oleata o da forno quindi rivestite il tipico ‘ruoto’ di alluminio che per questa dose non dovrà superare i 24-25 cm di diametro. Fate dei buchi sul fondo coi rebbi della forchetta e versatevi all’interno il composto di grano e ricotta. Con la restante pasta frolla fate delle strisce che porrete trasversalmente sulla superficie del dolce a mo’ di decorazione.

Cuocete la pastiera in forno statico preriscaldato a 180°C per un’ora e, una volta sfornata, lasciatela riposare anche una notte intera prima di mangiarla.

Nota Bene: la pastiera è un dolce particolarmente umido quindi non vale la prova dello stecchino né, anche per questo, si sforma dal suo ‘ruoto’ di cottura.

FONTI:

– Jeanne Caròla Francesconi – ‘La cucina napoletana’

https://it.wikipedia.org/wiki/Pastiera_napoletana

http://www.pastiera.it/

2 comments

Trita Biscotti 29 Maggio 2016 - 19:39

Meravigliosa, la preparo ormai da anni dopo aver ricevuto la ricetta DOC da una cara signora.. Ora a Pasqua me la richiedono tutti.. E' buonissima!!!

Eleonora - Zeta come Zenzero 21 Maggio 2016 - 9:02

Meravigliosamente profumata ed intrisa di storia e leggenda: pur non essendo napoletana quest'anno l'ho preparata anch'io per il pranzo di Pasqua ed è stato graditissimo! 🙂

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