Home c'era una volta La storia dei Monsù, e un timballo di maccheroni ripieni

La storia dei Monsù, e un timballo di maccheroni ripieni

by MTChallenge
Di Caris – Cooking planner
Facciamo insieme un salto nella storia, tanto bella quanto complessa, della cucina dei Monsù.

 

Fino a tutto il 500 l’Italia è il punto di riferimento nella gastronomia europea: i banchetti della penisola che duravano giornate intere, con carni e condimenti ricchissimi, tempi di cottura notevoli ( e altrettanto notevoli capacità di digestione richieste agli invitati, che non di rado potevano rischiare dei malori) erano l’esempio da seguire per le corti e la nobiltà, con la loro opulenza e teatralità nella presentazione. La cucina italiana era quella da importare e da imitare. Ma due avvenimenti cambiarono totalmente questa situazione fra il ‘500 e il ‘600: l’uso sempre più intenso dei prodotti provenienti dal Nuovo Mondo (zucchine, patate, pomodori, zucca, mais…una vera e propria rivoluzione in tutte le cucine europee) e la sempre crescente influenza politica francese. Nel  ‘600 la cucina delle regioni italiche perde il primato che aveva e quella francese diventa simbolo di raffinatezze e potere. Durante il ‘700 poi, si sviluppa la concezione del banchetto d’oltralpe (influenzato dalla cultura illuminista), che rifiuta il codice dei banchetti italiani a favore di una cucina più raffinata, più sobria e più leggera, per cotture e presentazione (tenete presente che stiamo sempre parlando di cene con 30 o 40 portate e il minimalismo le voleva far attastare sulle 10-15…) e che tenga conto della buona salute anche a tavola.

Via quindi ai potage, alle zuppe, alle salse delicate e morbide e allo studio della presentazione contemporanea di queste portate su tavolate enormi. Ogni cibo aveva una sua collocazione sul tavolo tanto che i commensali potevano assaggiare solo una parte delle portate (quelle nella loro “sfera di azione”), spesso in relazione al loro grado di importanza! Sul fronte italiano accade quindi che si guardi alla Francia come l’esempio da seguire e che, complice l’ingresso di alcuni cuochi francesi al seguito di principesse straniere, la figura che tutte le famiglie nobili, in particolare quelle del Regno delle Due Sicilie, vogliono alle loro dipendenze diventa il Monsù siciliano (contrazione dialettale del Monsieur francese) o Monzù napoletano.

Il monsù riveste un ruolo importante all’interno di una casa nobiliare: non è un semplice cuoco, ha un proprio appartamento, una propria forma di pagamento (poteva avere uno stipendio fisso, o uno a serata o anche un pagamento a richiesta…un libero professionista insomma).  Quello che però accade, fortunatamente per noi che possiamo ancora godere dei risultati, è che i nobili siciliani esigono dal Monsù una rivisitazione dei loro grandi classici: non rinunciano infatti al sapore e alla tradizione della loro terra ma Obbligano i Monsù a creare delle pietanze che i uniscano il meglio delle due cucine. Nascono così quelli che diventeranno i grandi piatti ancora oggi acclamati, di cui il Timballo del Gattopardo è uno degli esempi letterari più rinomati. Altra cosa straordinaria, in termini di evoluzione della cucina, che accadrà soprattutto in Sicilia, è l’influenza che la cucina dei Monsù riuscirà ad avere sulla cucina popolare, sfruttando il fertile terreno di ricette articolate, nonostante la povertà (cosa che accadrà con minor facilità in Campania, dove la cucina delle popolazione era più semplice nella struttura). Quindi nasce una cucina che riesce a superare la storica divisione fra cucina povera e cucina nobiliare dando i natali a quella cucina da strada eppure così ricca e articolata, presente ancora oggi in Sicilia. Gli originari Monsù, rigorosamente francesi, istruiranno i volgari “cuochi di paglietta” siciliani ( e campani) al loro servizio, dando vita ad una scuola che sarà francese solo nell’origine ma che poi sarà portata avanti da grandi personaggi rigorosamente italiani. Due su tutti ebbero il particolare merito e primato di scrivere dei ricettari ancora oggi attualissimi: Vincenzo Corrado con il suo Cuoco Galante e Ippolito Cavalcanti con La Cucina Casereccia. Il Cuoco Galante fu pubblicato per la prima volta nel 1773 e fu ristampato diverse volte per poi però essere soppiantato dall’accattivante ricettario di Cavalcanti (che rispetto al a Corrado,  scrisse in dialetto e rese comprensibile e fruibili ricette complesse anche a chi non era così colto e di nobili origini come sia Corrado che Cavalcanti erano).

 

 

Di ricette da provare ne esistono moltissime e io stessa, appassionata di timballi, ne ho provate diverse. Questa che trovate di seguito è il Timballo di Maccheroni ripieni, preso dal Libro Il cuoco galante di Giorgia Chiatto. L’ho provato un po’ perché l’aspetto invoglia un po’ perché lo trovo perfetto per Natale che è ormai alle porte.

 

 

RICETTA: TIMBALLO DI MACCHERONI RIPIENI
Ingredienti (per 6-8 persone):
  • 600 gr di pasta mezza frolla
  • 500 gr di rigatoni
  • Brodo di pollo (Il Corrado consiglia il cappone in realtà) per lessare la pasta
  • 650 gr di lacerto (io, metà vitellone macinato, un quarto di di vitello e un quarto di maiale)
  • 1 cipolla
  • 1 carota
  • 1 gambo di sedano
  • 80 ml di vino bianco
  • 200 gr di brodo
  • Olio evo
  • 1 cucchiaio di strutto
  • 4 pomodorini
  • 50 gr di gambetto di prosciutto crudo
  • Funghi secchi a piacere
  • Tartufo a piacere
  • 2 tuorli d’uovo e uno per spennellare
  • 80 gr di parmigiano
  • Qualche cucchiaio di panna fresca
per la pasta mezza frolla:
  • 500 gr di farina 00
  • 190 gr di burro (o 140 gr di burro e 30 gr di srutto)
  • 2 tuorli d’uovo
  • 10 gr di sale
  • acqua q.b.
  • Procedimento
    Per la pasta mezza frolla:
    Lavorate il burro freddo a pezzetti con la farina, formando un briciolame, aggiungete il sale, i tuorli d’uovo battuti e l’acqua gelata, pian piano, a cucchiaiate (circa 6/7); lavorate brevemente fino ad ottenere una consistenza compatta ed omogenea, formate un panetto e mettete a riposare in frigo per almeno un’ora.
    Per il timballo:
    In una casseruola fate soffriggere la cipolla con l’olio, lo strutto, il gambetto, la carota, il sedano, i pomodorini e i funghi secchi ammollati e scolati:aggiungete la carne e fatela rosolare, sfumate con il vino: aggiungete il brodo, fate raggiungere il bollore e lasciate cuocere coperto per 2-3 ore a fuoco dolce. Prendete la carne dal sugo e passatela al robot, legate con il parmigiano e con i tuorli d’uovo, regolate di sale e pepe ed aggiungete qualche cucchiaio di panna fresca, insaporire con un po’ di noce moscata. Mettete il composto in una sac a poche. Lessate i rigatoni nel brodo di pollo lasciandoli al dente e conditeli con una noce di burro. Riempiteli con il ripieno. E conditeli con il sugo di carne (tenete presente che dopo aver riempito i maccheroni, ho aggiunto alla carne avanzata un cucchiaio di concentrato di pomodoro e un pochino di acqua e ho lasciato cuocere leggermente per ottenere una “versione in rosso” ma può benissimo essere omesso). Dividete la pasta mezza frolla in due parti, di una più abbondante. Stendete la metà più grande e usatela per rivestire uno stampo a cerniera da 24 cm e alto (almeno) 10-12 cm. Sistematevi i rigatoni e condite con il sugo intramezzandoli con altro sugo e una spolverata di parmigiano. Preparate il coperchio e rivestite il timballo. Decorate a piacere, spennellate con un  tuorlo d’uovo cuocere in forno già caldo al 180° per 35-40 minuti (o comunque quando sarà ben dorato). Lasciare assestare 10 minuti prima di servirlo.

10 comments

MTChallenge 19 Novembre 2015 - 10:18

veramente interessante, sappiate mi avete coinvolta e mo' vi seguirò in questo studio dei Monsù 🙂

Afrodita's Kitchen 16 Novembre 2015 - 20:10

Ricetta strepitosa e storia davvero interessante!!!!

MTChallenge 16 Novembre 2015 - 19:46

grazie ragazze!

Vitto da Marte 16 Novembre 2015 - 16:02

Pura poesia …..

MTChallenge 16 Novembre 2015 - 15:59

Adoro questi post, dove si vede come si è evoluta la nostra tradizione culinaria: dà un senso diverso al classico "siamo quello che mangiamo", dove il verbo essere sta a indicare la nostra essenza culturale: ciò che siamo diventati, è frutto di una serie di evoluzioni complesse, di cui la cucina è una forma di espressione.
Non so se sono riuscita a spiegarmi… ma adoro la sensazione di continuità con il passato, che mi accompagna ogni volta che entro in cucina.
Grazie Caris!

Cristina Galliti 16 Novembre 2015 - 15:41

che delizia, tutto quanto, post, ricetta ed esecuzione!! grazie

panelibrienuvole 16 Novembre 2015 - 14:20

Caris, che meraviglia!Un post bellissimo, denso e interessante. Alcune cose le avevo lette ma altre mi mancavano…che bello quando storia e cucina vanno a braccetto.
E il timballo è strepitoso, complimenti davvero…ma ormai con te no ci si stupisce più di nulla 🙂
Una richiesta: potresti darci i riferimenti bibliografici per favore? (Non dirmi che hai fatto tutto a memoria, ti prego, perchè sennò mi sparo…)

MTChallenge 16 Novembre 2015 - 14:50

L'ho preso dal Libro : Il cuoco Galante di Giorgia Chiatto:)) E' un libro molto bello e ho provato diverse cose!

andreea manoliu 16 Novembre 2015 - 14:04

Questo non è solo un timballo ma un vero capolavoro, complimenti e buon lunedì !

Rosaria Orrù 16 Novembre 2015 - 8:20

post meraviglioso!!! sapevo già più o meno tutto ma quanto mi piace leggere queste cose!!
il timballo mi fa una gola pazzesca fin quando c'era i miei suoceri a Natale era quasi d'obbligo! quasi quasi quest'anno….

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